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TESI NOVE

Non c’è alcun criterio, eterno e rivelato, scritto nella Bibbia o su tavole di pietra, che debba dirigere per sempre il nostro agire etico.

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E' Dio che ha redatto i dieci Comandamenti? Naturalmente no. Esistono tre versioni differenti dei dieci Comandamenti nella Bibbia. Una è in Esodo 34, e sembra essere la più antica. La seconda è in Esodo 20: è la versione che ci è familiare, e che viene spesso esposta nelle chiese e a volte anche nei palazzi di giustizia. Ora sappiamo che questa versione è frutto di un importante lavoro editoriale di un gruppo di persone che chiamiamo “scrittori sacerdotali” o “fonte P”. Questi scrittori hanno ampliato significativamente la Torah durante l’esilio degli ebrei a Babilonia. L’ultima versione dei dieci Comandamenti è in Deuteronomio 5, ed è il riflesso di un momento della storia ebraica anteriore alla redazione del capitolo primo della Genesi, con il suo racconto della creazione in sei giorni. La ragione per cui ci si doveva astenere dal lavoro nello Shabbat, secondo questa versione, non era perché Dio si fosse riposato dal suo lavoro creatore e avesse decretato per sempre questo giorno come giorno di riposo, ma perché il popolo ebraico non dimenticasse che una volta era stato schiavo e che anche gli schiavi hanno bisogno di un giorno di riposo. No, Dio non è l’autore dei dieci Comandamenti.

Un altro dato interessante della storia biblica è che i dieci Co- mandamenti non erano al principio leggi con validità universale. Erano pensati solo per reggere le relazioni tra ebrei. I comanda- menti dicono: «Non uccidere». Tuttavia, nel primo Libro di Sa-muele si legge che Dio istruì il profeta perché dicesse a Saul di andare in guerra contro gli amaleciti e di uccidere tutti gli uomini,

le donne, i bambini, i neonati, i buoi e gli asini (lSam 15,1-4). E questo sa di genocidio molto più che di “non uccidere”. I Coman­damenti dicono: «Non dire falsa testimonianza». Tuttavia, il libro dell’Esodo presenta Mosè nell’atto di mentire al Faraone sul per­ché avrebbe dovuto permettere agli israeliti di andare nel deserto a offrire sacrifici a Dio (Es 5,1-3). Il codice morale della Bibbia si conformava sempre alle necessità del popolo. Questa era la sua natura. La pretesa di una paternità divina di questo codice morale era semplicemente una tattica per garantirne l’osservanza.

Ogni regola ha la sua eccezione. Si insegna in qualsiasi lezione di etica. È male rubare? Naturalmente, risponderemo subito in base al nostro bagaglio religioso. Supponiamo tuttavia che l’op­pressione dei poveri da parte dell’ordine economico sia così estre­ma che rubare un po’ di pane sia l’unico modo per evitare che tuo figlio muoia di fame. È il tema che affronta il romanzo di Victor Hugo I miserabili. Il ladro, Jean Valjean, è l’eroe del romanzo, mentre il virtuoso e implacabile persecutore di Valjean, l’ispet­tore Javert, è il protagonista negativo.[1] E' sbagliato l’adulterio? Sì, risponderemo in base al nostro bagaglio morale. Supponiamo tuttavia che la guerra separi una famiglia e marito e moglie non sappiano se il rispettivo sposo o la rispettiva sposa siano vivi, se potranno mai rivederli. Una relazione sessuale che in tali circo­stanze aiuti a vivere è peccaminosa? E il tema che Boris Pasternak affronta nel suo romanzo.[2] La guerra è male? Sì, risponderemo, lo è. Supponiamo tuttavia che la guerra sia l’unico strumento per mettere fine alla schiavitù o l’unico modo per fermare l’Olocau­sto. In questi casi, la guerra è male?

Potremmo riportare molti altri esempi, fino a prendere atto che non esiste un assoluto etico che non possa essere messo in discus­sione dinanzi alle relatività della vita. Pertanto, il criterio etico definitivo non può essere trovato semplicemente rispettando le norme.

Allora, come imparare a essere all’altezza delle esigenze della vita ordinaria? Ciò che ci guida non sono tanto le norme quanto le mete che perseguiamo. Se la forma suprema di bontà si espri­me nella scoperta della pienezza della vita, allora tutte le decisioni morali, comprese quelle in cui non è chiaro cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, devono essere prese non in accordo alle leggi morali, ma secondo il fine che si persegue. La questione che bisogna por­si in ogni azione è: questo fatto fa sì che l’umanità si espanda e si consolidi? L’accresce o la reprime? Questa azione è contraria alla vita o la rende migliore? Incrementa l’amore o lo riduce? Chiama a un senso più profondo del proprio essere o lo soffoca?

Se Dio è un verbo che bisogna vivere più che un nome da de­finire, come ho suggerito, allora i codici morali sono strumenti da apprezzare, non regole da seguire. Cosa se ne deduce? Che nessun sistema di regole può obbligare a essere etici; che vivere una vita etica significa che ogni decisione dev’essere soppesata alla luce di tutto ciò che sappiamo. Non sempre è facile adottare la decisione corretta. Non è facile essere cristiani nel XXI secolo.

 

[1]Victor Hugo, I miserabili, Mondadori, Milano 2004 (originale: Les Misérables, Paris 1862).

[2] Boris Pasternak, Il dottor divago, Feltrinelli, Milano (1957) 2005.

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Brano tratto dal libro "Oltre le religioni" ed. Gabrielli Editori

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