In un tempo di grande prova, a livello personale e collettivo, emerge con forza il bisogno di rivolgerci a una “realtà” che possa sostenerci o addirittura liberarci dal pesante fardello. Paolo Scquizzato, prete della diocesi di Pinerolo, ha scritto una lettera ad alcuni amici, sparsi in tutta Italia, da Bolzano a Palermo: Franco Barbero, Augusto Cavadi, Claudia Fanti, Paolo Farinella, Paola Lazzarini, Antonella Lumini, Alberto Maggi, Gianni Marmorini, Carlo Molari, Gianluigi Nicola, Silvano Nicoletto, Antonietta Potente, Gilberto Squizzato, Ferdinando Sudati, Antonio Thellung, Paolo Zambaldi. Ha chiesto loro un breve contributo sulla preghiera, su come poter concepire la preghiera in epoca di Covid-19 e cosa voglia dire pregare un Dio in un momento buio come questo. Si è formato un mosaico, fatto di piccole tessere, ciascuna con la sua ricchezza e con il suo tratto personale, di autori e autrici profondamente sinceri.
«La parola “preghiera” viene da prex-prece, atto proprio della persona che si reputa costitutivamente precaria. Ma che nella sua precarietà e fragilità è chiamata a maturare, a improntare stili di vita alternativi, capaci di fecondità e cura a tutti i livelli. Questo mosaico di interventi, nel suo sguardo d’insieme, ci parla della preghiera come atto di trasformazione non del cuore e del mondo di Dio, ma dell’uomo e del suo mondo. Una presa di consapevolezza del proprio posto nella creazione, del fatto di essere co-creatori e collaboratori delle immense energie divine, per corrispondere ad un Amore previo e gratuito e per diventare quindi sempre più responsabili. La preghiera dunque come risposta e impegno nei riguardi di quello Spirito che da sempre soffia all’interno dell’intero creato. Grazia e responsabilità, come la più antica sapienza cristiana ci ha sempre insegnato.»