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TESI QUATTRO

La nascita verginale, intesa in senso biologico letterale, rende impossibile la divinità di Cristo così come è stata tradizionalmente compresa.

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Quando la nascita verginale venne incorporata alla tradizio­ne nella nona decade dell’era cristiana, nel Vangelo di Matteo, la comprensione del processo di riproduzione era alquanto primiti­va. Nessuno aveva sentito neppure parlare della possibilità che la donna avesse ovuli e che pertanto fosse, dal punto di vista geneti­co, co-creatrice al pari del maschio nella nascita e nello sviluppo di ogni nuova vita umana. La gente di quel tempo pensava piut­tosto che la nuova vita fosse nello sperma del maschio e fosse lui, semplicemente, a piantarla nella donna, allo stesso modo in cui il contadino pianta il seme nel suolo della madre Terra. La donna, come la madre Terra, serviva solo da ricettacolo o da incubatri­ce per la crescita del bambino o del seme; non offriva alcun con­tributo. Ciò significava che, nel mondo antico, ogni qualvolta si voleva evidenziare la straordinarietà di una vita umana (cosa che non si poteva spiegare senza suggerire una sua origine divina), si aveva, nello sviluppo della spiegazione mitica, la necessità di sostituire solo il maschio con una fonte divina. Poiché si pensa­va che la donna non contribuisse in nulla alla nuova vita, poteva diventare facilmente il ricettacolo del figlio di Dio, come sareb­be avvenuto con qualunque bambino umano. Considerando tale comprensione del processo riproduttivo, le storie di nascite mira­colose e di parti verginali erano frequenti nei racconti di vite straor­dinarie. Non sorprende, dunque, che in un tempo appartenente all’antichità si concepisse una storia simile su una nascita miraco­losa di Gesù, al fine di spiegare l’origine del suo potere straordi­nario. Questo tipo di racconto, che non è esclusivo del cristiane­simo, è entrato nella tradizione circa 55 anni dopo la crocifissione di Gesù. E interessante notare che Paolo, che scrive tra gli anni 51 e 64 (tra 21 e 34 anni dopo la crocifissione), non sembra aver sentito parlare della tradizione di una nascita verginale. Di fatto, Paolo sembra avere assunto l’idea di una nascita del tutto comune di Gesù. Nella sua seconda lettera, rivolta ai Galati (scritta in-torno all’anno 52), parla delle origini di Gesù descrivendole in un modo in cui non c’è nulla di rilevante: sarebbe «nato da donna», come qualunque altro essere umano, e nato «sotto la legge», come qualunque ebreo (Gal 4,4). In questa stessa epistola, Paolo afferma anche che Giacomo era «il fratello del Signore», riferendosi chiaramente a un fratello di sangue di Gesù (Gal 1,19). Giacomo, in realtà, aveva raggiunto una posizione influente nel movimento cristiano proprio sulla base di questa sua relazione famigliare con Gesù. Nella Lettera ai Romani, scritta tra gli anni 56 e 58, Paolo aggiunge un’altra affermazione relativamente alle origini di Gesù e, di nuovo, senza nessun riferimento a una nascita miracolosa. Scrive che Gesù era «nato dalla stirpe di Davide secondo la carne» e «costituito Figlio di Dio [...] mediante la risurrezione dai morti» (Rm 1,1-4). In tutto il corpus paolino non c’è nulla d’inusuale intorno alla nascita di Gesù. Non si menziona mai la nascita verginale, perché ancora non si era sviluppata questa tradizione.

Quando Marco scrive il primo vangelo, intorno all’anno 72 (o 42 anni dopo la crocifissione), la tradizione non includeva anco-ra una storia su una nascita miracolosa. Ancora non era apparso questo tipo di narrazione.

In Marco, lo Spirito Santo si era unito a Gesù non nel concepimento, ma nel battesimo al Giordano (Me 1,9-10). Bisogna supporre che prima del battesimo Dio non fosse entrato in lui. Per sottolineare la normalità della nascita di Gesù, Marco afferma anche (Me 3,21ss.), in relazione alla madre di Gesù e ai suoi fratelli, che essi credevano che Gesù fosse fuori di sé, cioè mentalmente squilibrato (in un altro passaggio, Me 6, vengono nominati i fratelli: Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda). Preoccupati, questi famigliari «lo mandarono a chiamare» (Me 3,31 ss). Difficilmente sarebbe questo il comportamento di una donna cui un angelo avesse annunciato che avrebbe portato nel suo seno il Messia. Non si riceve un annuncio angelico prima della gravidanza per concludere, una volta che il figlio sia cresciuto, che questo è uno squilibrato! Senza dubbio Marco non era consapevole della tradizione di una nascita soprannaturale di Gesù. Non aveva sentito parlare di tale tradizione perché ancora non era cominciata.

La tradizione della nascita verginale entra nella storia cristiana alla metà della nona decade, intorno all’anno 85 dell’era cristiana, 55 anni circa dopo la crocifissione e 85 o 90 anni dopo la nascita di Gesù (Mt 1,18-25). Il racconto della nascita verginale viene ripetuto da Luca, più o meno una decina d’anni dopo, ma in modo molto diverso e persino incompatibile (Le 1,26-80). Dopo, e per sorpresa di molti, il racconto della nascita miracolosa di Gesù scompare completamente nel Vangelo di Giovanni, terminato intorno alla fine della decima decade, tra 65 e 70 anni dopo la risurrezione. Giovanni non solo omette la tradizione della nascita miracolosa, che quasi certamente conosceva, ma continua a parlare di Gesù, in due occasioni, semplicemente come del «figlio di Giuseppe», una volta nel capitolo 1 (1,35) e l’altra nel capitolo 6 (6,42). Il racconto della nascita verginale non è storico, non è biologia, è mitologia, pensata per interpretare il potere di una vita. La realtà è questo potere, non i processi riproduttivi.

Torniamo ora a ciò che sappiamo oggi sulla riproduzione umana. Quando lo sperma dell’uomo fertilizza l’ovulo della donna, il risultato è il mescolamento delle due fonti genetiche. Alla luce della conoscenza attuale, se intendiamo letteralmente il racconto della nascita verginale, in senso biologico e non mitologico, allora Gesù non può essere né pienamente umano né pienamente divino! Nondimeno, è questo che i grandi concili della Chiesa hanno voluto sostanzialmente affermare: una nascita verginale in senso letterale, intesa biologicamente, in cui lo Spirito Santo ha offerto il seme maschile e la Vergine Maria l’ovulo femminile; un processo che avrebbe dato luogo non a un essere pienamente umano e pienamente divino, ma, piuttosto, a un essere metà divino e metà umano. E questo non è l’Incarnazione!

Le conseguenze di questa nuova comprensione sono molto più grandi di ciò che la maggioranza può immaginare. In primo luogo, uno non può essere pienamente umano se suo padre è lo Spirito Santo. Sembra elementare! Secondo: la madre di Gesù, come co-creatrice, avrebbe trasmesso inevitabilmente a Gesù gli effetti della “caduta”, essendo anche lei figlia di Adamo. Scomparirebbe così l’idea che Gesù è nato “senza peccato”. La scienza ha scoperto l’ovulo nei primi anni del XVIII secolo. Forse è per questo che

la Chiesa si è vista obbligata, più di un secolo dopo, a introdurre una nuova dottrina: quella dell'“Immacolata concezione della Vergine” [1].  La sua nascita doveva stare al di sopra della biologia umana perché lei potesse portare in sé il Cristo bambino senza trasmettere a lui che era “senza peccato” la corruzione della caduta. Cosicché la nascita di Maria è stata il luogo in cui il peccato, il “peccato originale”, è stato fermato. Si è detto, pertanto, che il suo concepimento era stato libero dal peccato, o “immacolato”.

Se s’intende letteralmente la nascita verginale e la si unisce all’attuale comprensione della riproduzione, il risultato è che si potrebbe pensare a Gesù in base all’analogia con una sirena, una creatura metà umana e metà altro, o come una delle figure della mitologia greca con un corpo animale e una testa umana. Una nascita verginale intesa letteralmente distruggerebbe, anche in questo caso letteralmente, le affermazioni essenziali espresse nelle dottrine dell’Incarnazione e della Trinità.

Allora, cosa significa il racconto della nascita miracolosa di Gesù? Perché è stato sviluppato e applicato al suo caso? La risposta è chiara. Era la forma con cui i discepoli del I secolo pro-clamavano che in Gesù avevano incontrato la presenza di Dio, convalidando così quello che la loro esperienza faceva affermare loro e cioè che la vita umana non avrebbe potuto produrre ciò che loro credevano fosse la presenza di Dio che avevano incontrato in Gesù di Nazareth.

Noi cristiani adoriamo il Dio rivelato nell’umanità di Gesù e attraverso di essa. Il mito della nascita virginale non ci offrirà mai questo. Pertanto, non va inteso letteralmente. Non ha a che vedere con la biologia. Noi cristiani dobbiamo smettere di fingere che una volta sia stato qualcosa di più.

 

[1] Adottata come dogma dalla Chiesa cattolica nel 1854.

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Brano tratto dal libro "Oltre le religioni" ed. Gabrielli Editori

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