Il saggio di Castillo, teologo disobbediente e per questo allontanato dall’insegnamento da Joseph Ratzinger nel 1988, lancia un atto d’accusa a una Chiesa capace soltanto di impaurire e immagina una teologia senza l’ossessione del peccato, profilando una religione più attenta alla sofferenza umana.
La preoccupazione e perfino l’ossessione religiosa per il peccato hanno impedito di prendere coscienza del problema più immediato e urgente della sofferenza umana. E, peggio ancora, la lotta stessa contro il peccato ha causato a volte (e continua a causare) enormi sofferenze a molte persone, suggerendo inoltre l’idea non corretta di un Dio violento e vendicatore.
Non si vuole, in questo libro, mettere in dubbio l’esistenza del peccato, ma capire in che cosa consiste: non è solo il male che gli esseri umani compiono ma il male interpretato religiosamente, che riceve così una dimensione trascendente che sfugge a qualsiasi verifica.
La teologia della Chiesa, la sua liturgia e la sua attività pastorale hanno posto il peccato al centro delle proprie preoccupazioni. È vero che lo si è fatto con l’intenzione di esercitare il perdono e la misericordia. Ma la domanda di Castillo è: perché Gesù è venuto nel mondo, per salvarci dal peccato o per rimediare alla nostra sofferenza? Da quello che raccontano i Vangeli, risulta evidente che ciò che veramente preoccupò Gesù fu la sofferenza della gente. E, infine, come interpretare la morale della Chiesa? Sono i temi che questo saggio vuole affrontare.