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Bibbia parola di uomo - Ortensio da Spinetoli

Aggiornamento: 10 mag 2021


Il concetto di ispirazione, fondamentale per la retta comprensione della Bibbia, è ancora, si può dire, sub iudice. Rimane uno dei “misteri” con cui l’uomo è chiamato a confrontarsi e a convivere. Ne sanno qualcosa quanti si sono provati a conciliare il “concorso” incondizionato di Dio con il libero agire dell’uomo o, che è la stessa cosa, a sostenere l’esistenza del finito all’interno dell’Infinito, oppure ad abbinare il contingente all’assoluto. Non c’è nulla infatti che possa esistere al di fuori del Tutto, che abbraccia l’Essere e gli esseri, il Creatore e le creature. Tuttavia non è da questo punto di vista, filosofico o teologico, che si vuole parlare qui della natura dell’ispirazione (una discussione di cui non si verrebbe mai a termine) ma solo da quello pratico: quale sia lo stato, il grado di libertà dell’uomo sotto l’influsso ispirativo. Il dato di fondo su cui in generale oggi tutti convengono è che Dio e l’uomo scrivono insieme un libro; le divergenze di opinione cominciano quando si cercano di determinare la parte di uno e quella dell’altro. In primo luogo un qualsiasi autore deve mettersi alla ricerca delle debite informazioni, delle notizie, dei dati, dei messaggi che vuole far conoscere e pervenire alle generazioni future. Di seguito occorre dare una concatenazione al materiale rinvenuto in modo che la sua opera risponda a un determinato scopo storico, didattico, etico, pastorale, o semplicemente ricreativo. In tutto questo processo egli deve compiere una valutazione di ciò che ha letto, visto, sentito; in altri termini deve esprimere un giudizio su quello che vuole trasmettere ai posteri. Si tratta di dare un taglio, una versione ai fatti e agli annunci che poi lo scritto propone. Ed è qui che si affaccia la domanda cruciale: a chi spetta questa composizione che è insieme valutazione, revisione, accomodamento del materiale raccolto che darà origine al libro? Nel passato è stato dato un compito preponderante o esclusivo a Dio, ma è proprio da questo punto che bisognerebbe ripartire se si vuol comprendere il concetto di ispirazione. Se nei tempi passati è stata quasi ignorata la parte, la responsabilità del collaboratore umano, attualmente alla luce della Dei Verbum, che riconosce allo scrittore sacro o agiografo la qualifica di “vero autore”, si potrebbe anche ritenere che questi, nonostante si trovi sotto l’influsso dell’azione ispirativa, possa parlare sempre in nome proprio, faccia ricorso alle sue categorie culturali, si esprima con la sua lingua, secondo i propri canoni, ripeta le vedute, filosofiche o teologiche, comuni agli uomini del suo tempo. Si può continuare a ritenere la Bibbia un “libro di Dio”, ma andrebbe aggiunto che ciò è vero solo in modo relativo. Non è nemmeno vero che sia solo dell’uomo, è sempre di entrambi ma in parti disuguali. E se un tempo il primo posto era stato assegnato indiscutibilmente a Dio, si dovrebbe oggi provare a supporre il contrario: che cioè in primo piano, quindi al primo posto, si collochi l’uomo. Dio, pur ispirando il Suo collaboratore, non lo sostituisce né ristruttura le sue facoltà conoscitive ed espressive, i suoi talenti e nemmeno cancella i suoi limiti. L’uomo in quanto autore è tale sia prima sia dopo l’ispirazione. Dio lo accetta e lo lascia com’è, perché altrimenti questi non sarebbe più né vero uomo né vero autore, due identità inscindibili. E se è vero che l’uomo è libero nel modo di pensare, di esprimersi e di esporsi, non può mai perdere questa naturale connotazione senza perdere se stesso, senza annullare la sua realtà. Certamente le “pressioni” dello Spirito non sono mai sterili, tuttavia non possono essere tali da stravolgere la natura, l’identità o la responsabilità dell’uomo razionale. Può valere anche qui l’assioma fortiter et suaviter, che la scolastica ha coniato per spiegare l’agire provvidenziale di Dio nella storia e nella vita dell’uomo. Nel momento dell’ispirazione Dio si fa sentire, e in modo speciale, al Suo interlocutore e collaboratore; lo assedia, si può affermare, con i riflessi della Sua luce, bussa al suo cuore e alla sua intelligenza ma poi si ferma ad aspettare che questi si renda conto della Sua presenza e insistenza, si accorga di ciò che vuol fargli comprendere e lo tenga nel debito conto. L’intervento di Dio è sempre reale ma non determinante, né decisivo.

Egli fa certamente intravvedere le Sue proposte e risposte, le Sue preferenze e contrarietà, ma lascia all’uomo la libertà di fare le sue valutazioni e le sue scelte. Incoraggia l’uomo e gli offre stimoli e supporti senza costrizione, utili alla comprensione di ciò che vuole trasmettere, ma chi fa i pronunciamenti, e in modo sempre limitato, lacunoso, fallibile, anche quando afferma di parlare in nome di Dio, è l’uomo. Mosè non è solo lo scrittore ma anche l’autore del decalogo, come è Paolo che scrive come meglio sappia fare le sue lettere, ai romani e alle comunità cristiane delle origini. Si può arrivare a supporre che nell’ispirazione, date la portata e l’urgenza del messaggio da far pervenire ai poveri mortali, Dio possa permettersi un’azione più “decisa”, mai però sostitutiva o travolgente. Il libro degli Atti arriva a parlare di “ricalcitramenti”, cioè quasi di una forzatura compiuta dallo Spirito sull’animo di Saulo, ma si tratta di un antropomorfismo da non sopravvalutare. Le intenzioni di Dio sono sempre serie, i Suoi interventi sempre precisi, ma non occorre che faccia uso della forza per farsi intendere dal Suo interlocutore umano, dato che per raggiungere il suo scopo (farsi capire) dispone di una catena di intermediari che Gli consentono alla fine di riuscire sempre a farsi ascoltare e intendere. “Bisogna che egli cresca e che io diminuisca”, ripeteva Giovanni Battista a proposito del Messia (Gv 3,30). Sono le stesse parole che possono essere evocate parlando del fenomeno ispirativo, però questa volta a retrocedere non è l’inferiore (l’uomo) ma il Superiore (Dio). Questi è sempre lo stesso e rimane sempre al Suo posto, solo che, tradizionalmente, Gli è stato assegnato un compito – non certo esorbitante poiché a Lui ogni cosa fa capo – ma che verosimilmente non ha svolto e nemmeno tiene a rivendicare. Si può anche concedere che senza la presenza, l’azione, la collaborazione divina l’autore non avrebbe mai scritto quel determinato libro, ma pur ammettendo ciò non si può arrivare ad affermare che l’agiografo abbia assunto a seguito dell’ispirazione come una nuova veste, diversa da quella che aveva in precedenza. Egli è scrittore prima di essere ispirato e rimane tale anche sotto l’influsso ispirativo, con la stessa maturità spirituale e intellettuale, le capacità, la versatilità, le attitudini ricettive e critiche avute precedentemente. L’ispirazione indica che Dio collabora con l’uomo, ma questi svolge la sua opera con le sue doti naturali e con i suoi difetti, le sue aperture e chiusure mentali, soprattutto con la sua libertà. Se si vuole, in qualche modo sono in due a scrivere, ma rispetto al libro in quanto tale è predominante o determinante la mano dell’uomo. Per il credente l’intervento di Dio è reale ma passa attraverso le maglie dell’uomo, le sue tecniche comunicative e redazionali. Dio non è uno scrittore, né della Bibbia né di alcun altro libro. Egli, con la Sua onnipotenza o onnipresenza, può entrare nel segreto dell’uomo, nel meccanismo dei suoi pensieri, ma non ne prende il posto. Quando ritiene di dover esplicitare un Suo messaggio nel libro nessuno lo può impedire, ma il Suo intervento affiora in esso con tutti i ridimensionamenti e i fraintendimenti che gli ha impresso il suo collaboratore d’obbligo.


(Ortensio da Spinetoli . "Bibbia parola di uomo" (Paginealtre) (Italian Edition) . edizioni la meridiana. )

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