Da "Vita eterna" di John Shelby Spong
A volte mi chiedo come sia possibile leggere la storia della vita di Gesù come la raffigurano i vangeli canonici e poi pensare che gli evangelisti volessero che le loro parole fossero prese alla lettera. Essi non stavano scrivendo storia o biografia. Stavano cercando d'interpretare un'esperienza che cambia la vita e che è stata per loro estremamente reale, ma tutto ciò che avevano a disposizione erano limitate parole umane. Gli evangelisti segnalavano questa povertà di vocabolario ai loro lettori esagerando il loro linguaggio al punto che le loro parole diventavano letteralmente assurde. Le persone non sembrano accorgersi che ogni episodio nella storia del vangelo è raccontato con un linguaggio che è stato forzato, nel tentativo di trasmettere un'esperienza che gli autori erano convinti fosse reale, ma che il loro linguaggio era semplicemente incapace di comunicare. L'intero racconto evangelico è illustrativo di ciò, ma raggiunge un crescendo nelle storie della nascita di Gesù e in quelle della sua morte. Nessuno dei particolari può essere preso alla lettera, dal momento che mancano di ragionevole credibilità. Di conseguenza, molti credenti trascurano completamente questi dettagli. Tuttavia, così facendo, essi perdono le tracce che rivelano le intenzioni degli evangelisti. Questi autori del primo secolo non erano persone prive di buonsenso e nemmeno mancavano del dono dell'immaginazione. Quindi ora esaminerò alquanto brevemente il modo in cui è stata raccontata la storia della vita di Gesù, cominciando con la sua nascita e culminando nei resoconti della sua morte e risurrezione, per tentare di sfuggire per un momento al comune malinteso secondo il quale gli autori avrebbero destinato queste narrazioni a essere lette come la descrizione di una storia oggettiva e letterale.
Il linguaggio simbolico è presente in maniera ovvia nella ben nota storia della nascita di Gesù. Le vergini possono davvero concepire? Gli angeli cantano davvero ai pastori sul fianco di una collina? Le stelle annunciano gli eventi che accadranno nella storia innanzi? Le stelle vagano così lentamente nel cielo che i magi possono seguirle, e si fermano lungo la strada presso il palazzo del re e poi presso una casa a Betlemme per guidare i loro umani viaggiatori? Un qualsiasi saggio orientale si metterebbe in viaggio per seguire questa magica stella allo scopo di rendere omaggio a un re appena nato in una terra straniera? "Sapienti" o "Magi" avrebbero, alla lettera, viaggiato con doni da interpretarsi simbolicamente per quel neonato: oro per un re, incenso per una divinità e mirra come segno di ciò che alla fine la morte di quel bambino avrebbe davvero realizzato? Un re userebbe questi bizzarri stranieri come agenti segreti che gli portino informazioni su questa potenziale minaccia al suo trono? Nessuno sa che Matteo ci dirà più tardi che questo regale bambino era in realtà il figlio di un carpentiere (Mt 13,55)? Perfino nel primo secolo, queste cose non sarebbero state riconosciute da chi le ascoltava come roba da favole, non diversamente dalle narrazioni di chi cerca una pentola d'oro alla fine dell'arcobaleno? Perché queste nessuno di noi le ha mai prese alla lettera?
I racconti evangelici arrivano poi a riferire di Gesù storie fantastiche, come camminare sulle acque, trasformare cinque pani in cibo sufficiente a sfamare una folla, guarire numerose persone da malattie fisiche e mentali e addirittura risuscitare gente dalla morte. La narrazione culmina poi in racconti fantasiosi che descrivono gli ultimi eventi della vita di Gesù. Qualcuno di essi è mai stato pensato come storia letterale già nel primo secolo, oppure in questi racconti c'è qualcos'altro, che ci sfugge perché ci è stato insegnato per molto tempo a leggerli come fossero scenette storiche?
Se si guarda con particolare attenzione i racconti sulla morte e sulla risurrezione di Gesù si noterà l'uso dello stesso tipo di linguaggio "dilatato oltre ogni credibilità". Il sole si è veramente oscurato su tutta la Terra mentre Gesù rimaneva sulla croce da mezzogiorno alle tre del pomeriggio, come i vangeli non solo implicano ma chiaramente affermano (Mc 15,33; Mt 27,45; Lc 23,44)? Qualcuno realmente pensa che gli evangelisti credessero davvero che si fosse trattato di un'oscurità letterale, subita da tutti, forse un'eclissi solare? Al momento della morte di Gesù il velo nel tempio che separava il "luogo santo" dal "santo dei santi" si è davvero strappato da cima a fondo, cosicché l'accesso a Dio, che si credeva risiedesse nel "santo dei santi", potesse rimanere aperto per sempre (Mc 15,38; Mt 27,52; Lc 23,45)? Un vero terremoto ha accompagnato la sua morte, come afferma apertamente Matteo (27,51-52)? La storia della tomba di Gesù era vera? Un criminale condannato e giustiziato avrebbe ricevuto una sepoltura dignitosa e piena di attenzioni nel giardino di un uomo ricco che era un capo degli ebrei (Mt 27,57-61)? Una guardia del tempio sarebbe stata posta davanti a una tale tomba (Mt 27,62-66)? La rimozione della grande pietra, che copriva l'entrata della tomba, come suggeriscono gli evangelisti, richiedeva davvero l'intervento di un essere angelico venuto dal cielo (Mt 28,1-3)? Realmente si sono aperti con la morte di Gesù i sepolcri, così che «molti corpi di santi, che erano morti» (Mt 27,52) da lungo tempo potessero drizzarsi, risuscitare e camminare per le vie di Gerusalemme sotto gli occhi di tutti? Gesù risorto è apparso miracolosamente dal nulla a due persone sulla strada da Gerusalemme a Emmaus, per poi sparire nel nulla altrettanto miracolosamente dopo che l'avevano riconosciuto nel sacramento del pane spezzato (Lc 24,13 ss.)? Gesù risorto è passato attraverso porte chiuse e finestre sbarrate per raggiungere la stanza superiore e unirsi ai suoi discepoli al momento della cena, il primo giorno della settimana dopo la crocifissione (Gv 20,19)? Se le persone credevano davvero che Gesù potesse farlo, perché la pietra davanti alla tomba costituiva un problema e perché, allora, sarebbe stato necessario l'aiuto angelico per spostarla? Quali abiti indossava Gesù risorto? Leggendo la Bibbia in modo letterale si scoprirà che i vangeli ci dicono che, mentre veniva crocifisso, i soldati si erano spartiti fra loro le sue vesti (Mc 15,24; Mt 27,35 e Lc 23,34), e la storia di Pasqua dice che i vestiti con i quali era stato sepolto, erano stati lasciati nella tomba al momento della risurrezione (Gv 20,6-7). Era un Gesù nudo quello che la donna ha visto all'alba di quel primo giorno di Pasqua? Certamente questo aggiunge nuovo significato alle parole di Gesù rivolte a Maria Maddalena, riportate solo nel quarto vangelo: «Non mi trattenere perché non sono ancora salito a l Padre» (Gv 20,17) Infine, per ritornare Gesù ha sfidato davvero la gravità per ritornare a Dio che vive al di sopra del cielo, in un universo a tre piani (At 1,9)?
I racconti sono pieni di questo tipo di racconti stravaganti che noi leggiamo riguardo a Gesù, che, tre giorni dopo la sua crocefissione, camminava letteralmente e fisicamente fuori dalla sua tomba, con il segno dei chiodi sulle mani e sui piedi ancora intatto.
Questo non ci fornisce l'indizio che questi evangelisti stavano cercando di dire qualcosa che non erano in grado di esprimere con il comune linguaggio umano, così che l'hanno l' anno dilatato oltre il suo normale limite? Sicuramente questi evangelisti erano abbastanza consapevoli che stavano in questo modo usando parole e immagini nello sforzo di descrivere con il limitato linguaggio umano di ogni giorno — che, dopotutto, era l'unico che potevano usare — un'esperienza interna psichica e mistica, profondamente reale e riorientativa, che aveva modificato per sempre la coscienza e, di conseguenza, la storia umana. Dovremmo spendere il nostro tempo alla ricerca di prove della letteralità di questi dettagli sulla risurrezione, così da potere, in primo luogo, convincerci che sono veri e, secondariamente, convincere gli altri che la storia su cui abbiamo investito per secoli la nostra speranza di vita oltre la morte potrà reggere per un'altra generazione? Non è tempo, anche per chi di noi è all'interno di comunità religiose, di cominciare a cercare in queste storie un altro tipo di verità? È mai possibile che la nostra paura della morte sia superata da questi giochi letterali di specchi e cortine fumogene, che chiudono le nostre menti alla realtà e ci fanno vivere nella fantasia di un'autoillusione? In ciascuno degli esempi di narrazione sopra citati, direi che le parole non erano e non sono mai state destinate a essere descrizioni letterali di fatti realmente accaduti e pertanto chiunque li tratti come se lo fossero li sta tra-visando sistematicamente e completamente. Il linguaggio religioso, a mio avviso, non è mai stato destinato a essere letto in questo modo, ma questo è il modo in cui la maggior parte delle persone lo legge. Tutto ciò che sappiamo riguardo a come letteralmente Gesù sia morto evidenzia che la sua morte e la sua sepoltura sono state tutt'altro che dignitose. La crocifissione è un atto pubblico di terrore progettato per intimidire gli spettatori. Non c'è stata, ovviamente, nessuna tomba in un grazioso giardino in cui il corpo di Gesù sia stato posto dai suoi discepoli. Infatti, il primo vangelo ci parla della completa defezione degli apostoli al momento dell'arresto di Gesù (Mc 14,50). Quella stessa fonte convalida questa defezione facendo dire in anticipo a Gesù, nei confronti dei discepoli, che erano destinati a fare ciò per «compiere le Scritture». Si cerca di giustificare retrospettivamente un comportamento che non c'è mai stato? Gesù è morto solo. Questa è la storia letterale. In quel mondo crudele di dura repressione politica, le vittime di un'esecuzione erano normalmente gettate senza tante cerimonie in una fossa comune e prontamente ricoperte. I naturali processi di decomposizione si avviavano rapidamente in quel clima, a meno di rovistamenti di cani selvatici che rendessero il processo di riciclaggio della natura ancora più veloce, più efficiente e più abituale. La tomba vuota, così romanzata nelle nostre storie di Pasqua, probabilmente non è mai esistita. Cosa fare perché le nostre menti, che pensano in modo letterale, capiscano che se non c'è stata in realtà nessuna letterale tomba, un letterale corpo non può aver camminato fuori di essa in un letterale terzo giorno? Non c'è stato nemmeno un letterale uomo di nome Giuseppe d'Arimatea che ha provveduto a Gesù come discepolo segreto. Non ci sono stati terremoti a contrassegnare la sua morte. Non c'è stata eclisse, non oscurità a mezzogiorno della durata di tre ore, nemmeno angelici messaggeri che hanno annunciato la sua vittoria sulla morte. In ogni caso, non c'è spazio per queste cose in un mondo di causa ed effetto, di vita e di morte, di sangue e di lacrime. Trovo sia ingenuo sia sorprendente che le persone religiose siano oggi incapaci di ammettere la realtà di una verità spirituale e di una svolta psichica verso una nuova coscienza, a meno che non si convincano che i dettagli della risurrezione biblica sono fatti fisici che si sono verificati in una storia oggettiva delimitata da tempo e spazio. Tali concezioni della risurrezione sono artifici dell'idea che Dio sia un essere soprannaturale che vive all'esterno di questo mondo, invadendolo miracolosamente di tanto in tanto per salvarci dal pericolo, dall'insensatezza o dalla realtà della morte. No, la storia di Pasqua è molto più di questo, molto di più, non meno di questo. Infatti, non è per niente questo.
Chiedetevi soltanto, se siete ancora intrappolati in quella percezione esterna del soprannaturale: come mai, sebbene la comunità cristiana abbia attribuito grande importanza alla risurrezione, non ci sono di essa due racconti uguali? Infatti, non vi è quasi un solo dettaglio in qualsiasi racconto della risurrezione di Gesù del Nuovo Testamento che non sia contraddetto in un altro racconto. Gli scrittori del Nuovo Testamento non sono d'accordo che ci fosse una tomba verso cui le donne andarono all'alba del primo giorno della settimana; non sono d'accordo su chi fossero le donne che costituivano il gruppo di visitatori mattinieri o se queste donne videro realmente Gesù risorto in quell'occasione; non concordano su dove fossero i discepoli quando, qualsiasi cosa fosse l'esperienza della Pasqua, per la prima volta essa spuntò su di loro o, com'è più probabile, dentro di loro; e non concordano, in riferimento al momento della Pasqua, su chi fra di loro fu il primo discepolo a "vedere", qualsiasi cosa fosse questo "vedere". Non erano nemmeno d'accordo se la risurrezione fosse una cosa fisica! I primi racconti suggeriscono che l'evento non fu fisico, ma diventa sempre più fisico con il passare del tempo. Il resoconto originale della risurrezione di Gesù era una narrazione che cerca di descrivere l'esperienza mistica, ma reale, di Gesù che viene elevato nell'eternità di Dio, o era una narrazione in cui egli viene risuscitato alla vita di questo mondo, da cui molto dopo doveva essere liberato? Dato che non poteva morire di nuovo, che è il modo in cui le persone normalmente escono da questo mondo, il suo corpo fisicamente risorto doveva essere miracolosamente sollevato dalla vita di questo mondo nella vita di Dio, che s'immaginava vivesse sopra il cielo. Questo è realizzato con l'ascensione. E proprio questo tentativo di usare il linguaggio umano per descrivere una realtà che i primi seguaci di Gesù non potevano mettere in dubbio o respingere che ci fa sospettare che tutti i racconti della risurrezione siano effettivamente aggiunte tardive a una tradizione in sviluppo. Perché erano tardive? Perché il momento pasquale originario, dovunque sia stato e a chiunque sia accaduto, fu un'esperienza così potente del Gesù vivo che nessuna spiegazione era necessaria. Sarebbero state le generazioni successive di cristiani ad avere bisogno di spiegazioni per dare senso al loro modo d'intendere Dio come qualcosa di diverso da loro, qualcosa che era lassù o là fuori. Quindi, che i resoconti di questo solitario e cruciale momento della storia di Gesù sono radicalmente contraddittori, il nostro compito diventa quello di cercare sotto le spiegazioni nel tentativo di definire l'esperienza.
Si noti anche la natura privata delle storie di apparizione del risorto come il Nuovo Testamento le riporta. Nessuna di esse è un evento pubblico o che abbia avuto luogo nel tempio. Tali eventi non sono, com'era il racconto di Giovanni a riguardo di Lazzaro richiamato dalla tomba, ambientati in un'adunata pubblica.
Quando Lazzaro, secondo il racconto, uscì dalla sua tomba, era avvolto in bendaggi funebri che presumibilmente chiunque era quel gruppo riunito di dolenti, persone care, amici e anche nemici di Gesù, poté letteralmente vedere e da cui gli stessi amici alla fine lo liberarono. Le prime storie sulla visione del Gesù risorto sono concentrate nelle zone rurali della Galilea. Le successive sono state spostate a Gerusalemme. Le prime storie di Galilea sono vaghe misteriose. Paolo non ci fornisce dettagli narrativi, dicendo solo che Pietro fu il primo a vedere Gesù risorto e che, quantomeno nella sua lista, egli stesso fu l'ultimo a vedere Gesù (1Cor 15,1-8). Qualunque cosa Paolo abbia visto, egli afferma che non era diverso da ciò che aveva visto chiunque altro. Eppure gli studiosi datano la conversione di Paolo da uno a sei anni dopo la crocefissione, un tempo troppo lungo perché la sua visione del Gesù risorto sia stata la visione fisica di un corpo risuscitato. Paolo stava verosimilmente parlando di un tipo diverso di visione, ma qual era? Paolo stava dicendo che aveva avuto una visione che, sebbene possa essere successivamente sembrata oggettiva ad altri, era di fatto soggettiva per lui? Era la sua una visione reale o una intuizione? O era chiaroveggenza? O era un tipo di visione ancora diverso da queste? Paolo lascia la risposta a questo interrogativo nel regno dell'inspiegato, anche se è stato lo scrittore temporalmente più vicino al momento della risurrezione, dato che scrisse la sua opera tra i venti e i trentaquattro anni dopo la crocifissione o circa sedici-diciotto anni prima che il vangelo più antico fosse scritto. Non abbiamo fonti più vicine di questa. Più distanti nel tempo sono gli scritti sulla risurrezione — qualsiasi cosa sia stata l'esperienza della risurrezione —, più il mistero e la meraviglia sono stati sostituiti da racconti oggettivi e prove fisiche. In Marco, che scrive nei primi anni Settanta, Gesù non appare a nessuno; Piuttosto, un messaggero informa i discepoli che Gesù è vivo e li precederà in Galilea e là, nelle loro case, lo «vedranno». Matteo, scrivendo nei primi anni Ottanta, dice che i discepoli effettivamente videro Gesù in Galilea, ma ciò che videro non era un Gesù risuscitato, ma un essere glorificato che veniva dal cielo, viaggiando sulle nuvole, avvolto nei simboli del mitico «Figlio dell'uomo» e che precisava la missione cui i discepoli dovevano dedicarsi con le parole che oggi chiamiamo il "grande mandato". Luca, che scrive negli ultimi anni Ottanta o nei primi anni Novanta, e Giovanni, che scrive alla fine degli anni Novanta, rendono il Gesù risorto così fisico da ritrarlo mentre mangia, cammina, parla, insegna, interpreta la Scrittura e offre il suo corpo all'ispezione per dimostrare la sua natura fisica di risuscitato. Questi sono anche i due vangeli che separano la risurrezione dall'ascensione, ma anche qui non c'è accordo sulla distanza di tempo che le separa. Luca dice che era stata di quaranta giorni; Giovanni le separa solo di ore (si confrontino At 1,3-11 con Gv 20,17). È facile comprendere come i racconti siano cresciuti, diventando più soprannaturali e miracolosi, più fisici e oggettivi. Questa è la natura dell'andito umano d'individuare certezze nella storia postulando l'invasione dell'umano da parte dell'essere soprannaturale esterno nel quale gli esseri umani, fin dalla nascita dell'autocoscienza, hanno investito il loro bisogno di sicurezza. Come sempre, però, queste sono spiegazioni espresse nel linguaggio dell'oggettività, cercando di dare senso a un'esperienza di modificazione della coscienza. La nostra domanda non è: Gesù è risorto dai morti? Ma: questi evangelisti cosa stavano cercando di comunicare? Cosa significa per loro "fare esperienza di Gesù vivo"? Non potremo mai penetrare questa cortina di mistero con certezza, ma possiamo invece risalire con precisione agli effetti che si verificarono in quei discepoli da come vissero il significato di ciò che stavano cercando di descrivere. Sappiamo che qualcosa accadde nella loro comprensione di Dio. Sappiamo che qualcosa accadde nella loro comprensione di Gesù. Sappiamo che qualcosa accadde nella loro comprensione di se stessi. Questi cambi o i cambiamenti sono le cose oggettive e reali e che ebbero conseguenze chiare e riconoscibili. La loro esperienza del Gesù risorto, se non del risorto stesso, è stata un evento che si e verificato nel tempo e nella storia, e che richiede una spiegazione anche se fossimo a usare parole come "esperienza della coscienza psichica". Gesù era stato risuscitato, ma all'interno di che cosa? Era stato risuscitato nella loro comprensione di Dio in modo che nulla sarebbe più stato uguale? Gli scettici potrebbero senza dubbio chiamare questo allucinazione di massa, perché considerano ciò che non è oggettivo, o che non si verifica nel tempo e nello spazio, come irreale. Eppure la realtà di questo cambiamento nella coscienza era misurabile, innegabile e abbastanza facile da documentare. Il significato di Dio era stato modificato per sempre perché Gesù, con la pura forza del suo essere, aveva impresso la sua umanità sulla definizione del divino. Il Dio esterno era stato scoperto nel cuore dell'umano. Dio era ormai sperimentato «attraverso il filtro di Gesù» . La risurrezione è stata un evento della storia interiore a livello di coscienza, dove si verificano i cambiamenti fondamentali. I discepoli, che avevano localizzato l'esperienza di Dio in Gesù, scoprirono nella sua morte che questa esperienza di Dio non era più localizzata. La presenza del santo che avevano trovato in Gesù la scoprivano ora in loro stessi. Era come se vedessero che qualsiasi cosa avevano incontrato in Gesù risiedeva ormai nelle loro vite e nei loro cuori. Questo è ciò che Giovanni stava cercando di dire quando descrive Gesù risorto che soffia sui discepoli la sera della prima Pasqua, così che furono pieni di quello che più tardi i cristiani avrebbero chiamato lo Spirito santo (Gv 20,22), ma che originariamente io credo fosse conosciuto come lo spirito di Gesù stesso. Ho chiamato questa presenza «potenza cristica». L'esperienza di Gesù, che io credo fosse una chiamata a potenziare la vita, l'amore e l'essere, e che era sembrata essere unica di Gesù, era situata ora al centro del loro stesso essere. La potenza di Gesù era entrata in loro esattamente, iniziarono a dire, come Gesù era entrato nell'essere stesso di Dio con la sua risurrezione. Gesù nella sua morte si era fatto da parte per lasciare che il senso dell'autocoscienza, che era al massimo di profondità e di completezza in lui, espandesse la coscienza dei suoi discepoli e divenisse sia la forza dominante sia il chiaro potere delle loro vite. Lo spirito che era presente in Gesù era la potenza della sua vita che li chiamava a una rinnovata ed estesa coscienza, che si esprimeva nella più piena umanità che stava ora lavorando in loro. Gesù li aveva costretti ad allontanarsi dalla paura della vita e dalla necessità di essere dominati da un Dio esterno, a riconoscere che il divino e l'umano non erano separati, ma che l'umano era il contenitore in cui il divino viveva. Paolo aveva addirittura detto in Galati (1,16) che Dio era stato rivelato "in" lui, ma i traduttori, ancora nella morsa del teismo con la sua divinità esterna, tradussero la parola greca ev non come "in", com'è normalmente tradotta, ma con la parola "a", così che la rivelazione sarebbe giunta a lui dalla divinità esterna, di fuori, invece di essere "in" lui, che è dove necessariamente si situa ogni mutamento di coscienza. Paolo (o forse quel discepolo di Paolo che molti credono sia l'autore di Colossesi) aveva anche esortato i suoi lettori, molto prima che qualsiasi vangelo fosse scritto, a cercare "le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio" (Col 3,1). Ricordo ai miei lettori che Paolo vedeva la risurrezione di Gesù come l'essere risuscitato dalla morte alla vita di Dio in una sola azione simbolica, non risuscitato alla vita di questo mondo come primo passaggio e poi elevato dalla terra al regno celeste di Dio. Nessun racconto di un'ascensione separata sarebbe apparso nella tradizione cristiana per circa quarant'anni dopo che quelle parole erano state scritte nella lettera ai Colossesi. Dobbiamo imparare a leggere Paolo alla luce di Paolo, non alla luce dei molto posteriori libri di Luca, Atti o Giovanni, come si tende a fare. Gesù l'uomo, l'essere pienamente umano, non aveva potuto liberare il suo spirito fino alla morte. Fu solo quando lo spirito di Gesù entrò nei discepoli che il mondo fu messo sottosopra. In Gesù i valori nati nella nostra ricerca di sicurezza, valori che modellano così profondamente la religione umana, furono capovolti. Se il veramente umano, di cui era stata fatta esperienza in Gesù, è il contenuto di ciò che intendiamo con la parola "divino" e lo si incontra non oltre la vita ma nel cuore della vita, allora il percorso nel divino è diventare umani e il percorso nell'eternità è accettare la morte come naturale e andare così in profondità nella vita che tutti i limiti siano trascesi e si entri sia nell'atemporalità sia in Dio. La ricerca umana della vita dopo la morte non si basa quindi in alcun modo sulla pretesa che la mia vita o quella di chiunque altro sia immortale; si fonda su una nuova consapevolezza che la vita umana autocosciente condivide l'eternità di Dio e che, nella misura in cui sono in comunione con quella forza vitale in perpetua espansione, quella potenza d'amore che arricchisce la vita e quell'inesauribile Fondamento dell'essere, io vivrò, amerò e sarò parte di ciò che Dio è, non vincolato dalla mia mortalità ma dall'eternità di Dio. Non basta conoscere la verità di questo percorso mistico; è essenziale che noi iniziamo effettivamente a percorrerlo. Erich Fromm, psicologo e autore tedesco-americano, ci ricorda che "le persone non pensano mai il loro cammino verso nuovi modi di agire, esse sempre attuano il loro cammino verso nuovi modi di pensare". L'ascensione di Gesù in Dio non è dunque un concetto spaziale, che dev'essere creduto o accolto; è piuttosto un cammino che ognuno di noi deve impegnarsi a percorrere. Il compito della religione diventa allora quello di non aggrapparsi più ai credo e alle dottrine che si basano su una visione obsoleta del mondo vincolata a una divinità teistica esterna. Nel Nuovo Testamento la nostra definizione di Dio è stata modellata nei termini di forme di pensiero legate all'epoca del primo secolo. Nei credo, nelle dottrine e nei dogmi della Chiesa cristiana in via di sviluppo, la definizione di Dio è stata espressa nelle forme di pensiero legate all'epoca del quarto secolo. Il credere con il cervello umano a concetti obsoleti non è un segno di ortodossia; è un segno dell'essere spiritualmente morti. Il compito della religione non è di trasformarci in buoni credenti; è quello di approfondire ciò che è personale dentro di noi, di abbracciare la potenza della vita, di estendere la nostra coscienza in modo che possiamo vedere cose che gli occhi normalmente non vedono. È quello di cercare un'umanità che non è governata dal bisogno di sicurezza, ma che si esprima nella capacità di donarci. È vivere non spaventati dalla morte, ma piuttosto chiamati dalla realtà della morte a entrare nella nostra umanità così profondamente e così appassionatamente che perfino la morte sia trascesa. Questa è la chiamata di colui che è pienamente umano, il Gesù della coscienza trasformata. Percorrere la via di Cristo ci porterà oltre il teismo, ma non oltre Dio; oltre l'incarnazione, ma non oltre la scoperta del divino nel cuore dell'umano; oltre la morte di ogni particolare cosa vivente, ma non oltre il senso e lo scopo, perché l'eternità è entrata nel particolare attraverso l'autocoscienza.
Da "Vita Eterna" di J.S.Spong ed. Gabrielli
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