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Morale della favola

di Fiorenzo Rosa



Premetto che non sono né un teologo né tanto meno un biblista; sono un cristiano che vive e pensa con la sua testa e nel suo percorso di vita ha avuto la fortuna di poterne fare uno parallelo spirituale dove il pensiero non è rimasto “segregato” in stereotipi o dogmatismi che fanno diventare il cuore sclerocardico ed esplicitamente o implicitamente vietano di “pensare”.

Ho ben presente le parole scritte nel primo libro dei Re al capitolo 3 messe in bocca a Salomone «Concedi al tuo servo un cuore che ascolta, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male» (1Re 3,9). Anche Dio, secondo chi scrive queste parole, si stupisce della richiesta di un questo giovane.

Un cuore “ascoltante” è ciò che ogni cristiano dovrebbe coltivare in maniera libera e responsabile senza la paura di dire cose che non siano accolte. Sicuramente è un percorso che richiede discernimento e tanto, tantissimo coraggio perché ciò che l’uomo è riuscito a costruire sull’annuncio evangelico è qualcosa che va ben al di là della forza umana della sopportazione. Ma quando i pesanti fardelli vengono tolti, la bellezza dell’annuncio si rivela in tutto il suo splendore e la sua semplicità.


È in questa dimensione che mi sento di scrivere quello che sto scrivendo senza la paura di essere frainteso e tanto meno la paura di essere “eretico” (come forse qualcuno alla fine penserà). Mi conforta, in questi miei piccoli passi, la compagnia di tante persone ( mia moglie in primis) che stanche di tutti quei fardelli che un clericalismo becero ha riversato sui credenti di ogni epoca facendo diventare il peso di tutto, qualcosa di insopportabile. Sempre più si intravedono persone laiche e anche sacerdoti che hanno il coraggio di uscire dalle «catacombe» in cui vivono.

Siamo nell’era di una “nuova evangelizzazione” che riporta il cammino agli inizi con non poca fatica.




Qualche giorno fa, a pranzo con la mia famiglia il discorso è andato a finire su una fiaba che il nonno (papà di mia mamma) raccontava a mia mamma bambina, ha poi raccontato a noi nipotini e non è riuscito a raccontarlo alle pronipoti. Il racconto si sviluppa in un contesto famigliare dove una vecchia signora fa di tutto per salvare dei piccoli fratelli dalla pentola dove l’orco vuole farli cuocere (è una vicenda ben nota nelle fiabe). Alla fine del racconto (in questo caso fatto da mia madre – diventata nonna nel frattempo) le nipoti (15 e 10 anni) hanno esclamato «mamma mia che crudeltà!» per poi continuare «si vabbè è una fiaba e ha una morale»! Intuizione non del tutto scontata per due ragazzine di 15 e 10 anni, ma questa esclamazione mi ha acceso una lampadina e mi ha fatto esclamare (in modo audace) «si tratta di un genere letterario – lo stesso genere letterario che troviamo nel vangelo, ma in quel caso non siamo capaci di dire “ha una morale” …. Siamo tentati di dire “è successo così davvero!”» … attimo di silenzio, poi la nipote più grande (quella di 15 anni) ha esclamato «sì ma zio…. Il vangelo non è una fiaba!». Risposta audace che mi ha fatto pensare!

Sempre più si intravedono persone laiche e anche sacerdoti che hanno il coraggio di uscire dalle «catacombe» in cui vivono.

È vero, il vangelo non è una fiaba, ma è pur vero che è e ha un genere letterario e che ha una morale che troppo spesso viene ignorata se preso “alla lettera”.

Ho provato (oggi è facile con internet) a fare una piccola ricerca su cosa siano le fiabe e sono rimasto sbalordito del risultato tanto semplice quanto illuminante.



La fiaba è una narrazione originaria della tradizione popolare, caratterizzata da racconti medio-brevi e centrati su avvenimenti e personaggi fantastici (fate, orchi, giganti e così via) coinvolti in storie con a volte un sottinteso intento formativo o di crescita morale. È diffusa l'opinione per cui le fiabe siano tradizionalmente pensate per intrattenere i bambini, ma non è del tutto corretto: esse venivano narrate anche mentre si svolgevano lavori comuni, per esempio filatura, lavori fatti di gesti sapienti, ma in qualche modo automatici, che non impegnavano particolarmente la mente. Erano per lo più lavori femminili, ed è anche per questo che la maggior parte dei narratori è femminile; oltre al fatto che alle donne era attribuito il compito di cura e intrattenimento dei bambini. Le fiabe tutto sommato erano un piacevole intrattenimento per chiunque, e "davanti al fuoco" erano gradite sia agli adulti che ai bambini di entrambi i sessi. (da wikipedia)


Incredibile!

Siamo capaci di fare un’ottima analisi di una fiaba e non ne siamo capaci quando leggiamo i vangeli.

Lo so che rischio di essere frainteso e che qualcuno può dire la stessa cosa che ha detto mia nipote («il vangelo non è una fiaba») ma credo che ora più che mai dobbiamo avere il coraggio, con le scienze moderne, con la cultura che abbiamo, con gli studi che sono a disposizione di tutti, di uscire da quel inciampo che ci fa dire “è successo davvero così” senza aver la paura di offendere nessuno né tanto meno Dio.

Gesù è stato un uomo che vivendo appieno la sua umanità è diventato divino ed è per questo che è Figlio di Dio. Lo possiamo diventare tutti noi! Sento di poter dire questo che poi è la stessa “morale” del racconto della Genesi “a immagine e somiglianza”. Siamo chiamati ad essere a sua immagine e somiglianza quando viviamo “da Dio” come ha vissuto l’uomo Gesù. Non posso pensare che Gesù sapesse dall’inizio quello che sarebbe successo… lo ha scoperto soltanto vivendo e soltanto rimanendo fedele all’Amore è diventato il Cristo.

Siamo capaci di fare un’ottima analisi di una fiaba e non ne siamo capaci quando leggiamo i vangeli.

Tornando alle fiabe; se leggiamo poco sopra il modo in cui si sono tramandate non facciamo fatica a intendere che è lo stesso procedimento con cui si sono tramandati i racconti evangelici! Cosa vuole dire questo? Vuol dire che non hanno lo scopo di raccontarci un avvenimento storico, ma hanno la volontà di farci passare una “morale” un “concetto”, se vogliamo “una teologia” che ci “racconta” il volto del Padre quando chiamarlo padre è già deturparlo della sua vera entità perché gli si appiccica una visuale antropomorfa.

Ricordo una frase che diceva il mio caro parroco quando facevo l’animatore in parrocchia e forte della mia fede “post tridentina” gridavo le “verità”…

Mi diceva sempre «sì Dio è così, ma non solo!». Ho sempre fatto fatica a capire quelle sue parole fino a che la mia fede ha subito una svolta ed è uscita dal teismo finendo di dare “immagini” ad un Dio che immagini non ha e che è in ogni cosa e da dentro di essa la fa nuova.


Ora in modo provocatorio chiedo: «perché non provare a leggere i vangeli come leggiamo le fiabe»?

Non ripieghiamoci subito a dire timorosamente «il vangelo non è una fiaba» perché lo sappiamo bene che non lo è e provocatoriamente ho fatto questa domanda, ma è pur vero che il vangelo ha una morale e che troppo spesso per difendere una cronaca che fa acqua da tutte le parti ci perdiamo l’essenza e la preziosità di quella morale senza capirne il senso.

«perché non provare a leggere i vangeli come leggiamo le fiabe»?

La chiesa ha bisogno di gente che pensi; ha bisogno di gente che ascolti “le fiabe” e che ne capisca la morale perché è da quell’insegnamento che si può vivere meglio e in pienezza.

È un passo da compiere con fatica e determinazione, con coraggio e audacia, ma che, se fatto, libera da quei fardelli che “uomini di chiesa” hanno riversato su racconti liberanti facendoli diventare macigni insormontabili: gli Evangeli (εὐαγγέλιον (evanghélion) ovvero la “buona notizia” il “lieto annunzio”.

Chi ha scritto quei “racconti” …. Cosa voleva dirci?

È una domanda che non può non essere ascoltata!

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