Prima della sua morte nel 2009, Forrest Church era ministro anziano della nota Chiesa unitariana universalista di Ognissanti, a New York. Era anche figlio di un ex senatore democratico dell’Idaho, che era stato candidato del suo partito per la presidenza degli Stati Uniti nel 1976. Forrest Church aveva un dono straordinario con le parole. Per esempio, il titolo di uno dei suoi libri era Dio e altri famosi liberali. Ho sempre desiderato di poter pensare a un titolo del genere prima che lo facesse lui! Una volta disse anche: “Dio non è il nome di Dio. Dio è il nome che noi diamo a ciò che è più grande di tutto eppure presente in ciascuno”68. Avevo in mente questa definizione quando ho iniziato a mettere insieme le idee per un’unica frase coerente con cui riassumere il contenuto di queste dodici tesi. Dovevo essere chiaro riguardo a ciò che credo, sul motivo per cui insisto a identificare me stesso senza remore come cristiano e sul perché penso che una riforma teologica radicale sia essenziale per un futuro cristiano. Chiamo questa dichiarazione “il mio mantra”. Non è pensata per essere la forma iniziale di un nuovo credo che potrebbe essere imposto al cristianesimo di domani.
Non posso dirvi chi o che cosa sia Dio. Nessuno può farlo
Sono finiti i giorni in cui pensare che qualcuno possa ancora ridurre l’esperienza del Sacro a un insieme di enunciati da credere e da recitare. Non voglio ritornare al mondo della religione tradizionale. Vivo piuttosto in un tempo e in uno spazio in cui non c’è e non ci deve più essere qualcosa che possa essere chiamato un “credo eterno” o un insieme di credenze che possano durare per sempre. Il mio mantra, quindi, è inteso per essere solo una dichiarazione di dove mi trovo oggi, il luogo cui sono giunto nel mio viaggio in questo momento. Voglio esprimere positivamente qualcosa sulla conclusione che mantengo adesso e dare testimonianza del motivo per cui continuo a vedere nella storia cristiana qualcosa che mi spinge al discepolato. Da tempo ormai cammino oltre un’interpretazione letterale della Bibbia, ma non sento per questo il bisogno di abbandonare la Bibbia o di suggerire che questo libro non ha più gran valore per me. Al contrario, mi addentro più profondamente nel contenuto della Bibbia, spingendomi molto lontano dalla superficie letterale, e lì scopro sia significato e sia idee per i quali continuo a provare un profondo attaccamento.
Da tempo sono andato oltre ciò che chiamo la teologia del credo, che, come abbiamo visto, è stata sviluppata nel quarto secolo, ma non ho abbandonato la speranza di poter raccogliere le intuizioni del cristianesimo in forma coerente, almeno per la mia generazione. Da tempo mi sono allontanato dalle forme di culto del tredicesimo secolo, che ritraggono Dio come una figura genitoriale che ha bisogno di essere lusingata o come un giudice davanti al quale sono costretto a stare in ginocchio, come un penitente, mentre lo supplico di “avere pietà”. Non ho abbandonato, tuttavia, quel senso di realtà e di santità di ciò che chiamo l’“infinito Altro”. Il linguaggio umano è miseramente inadeguato quando si cerca di parlare di ciò che non può essere compreso all’interno dei confini umani che delimitano il mondo dell’esistenza. Devo, tuttavia, continuare a usare parole umane poiché non ho altro modo per comunicare il pensiero. Continuo, dunque, ma con l’avvertenza che le parole possono indicare ma non possono mai catturare o afferrare quella verità di cui cerco di parlare. Con tale attenzione chiaramente espressa, porto questi capitoli a conclusione condividendo il mio mantra, la mia attuale dichiarazione di fede. Non posso dirvi chi o che cosa sia Dio. Nessuno può farlo. Nessuna mente umana possiede questa capacità. Tutto ciò che posso fare è dirvi come io credo di avere fatto esperienza di Dio. Dio e la mia esperienza di Dio non sono la stessa cosa. Devo anche affrontare il fatto che potrei illudermi; potrei fare riferimento a qualcosa che esiste solo nella mia mente illusa. Molte persone hanno avuto esperienze illusorie in cui Dio è stato diversamente percepito. Non credo che questo sia il mio caso ma devo essere sempre consapevole di tale possibilità. Quindi, sotto la clausola della massima trasparenza, archivio questa riconosciuta possibilità e proseguo.
Credo di avere percepito Dio come la Fonte della vita.
La vita è nata da una singola cellula e, come tale, ha iniziato il suo viaggio nel tempo fino ad arrivare allo stadio attuale, che include la complessità dell’autocoscienza degli esseri umani, producendo per la prima volta, per quanto ne sappiamo, una creatura che può definire la vita, riflettere sui suoi inizi, prevedere la sua fine e sollevare la questione del suo significato. Se Dio è la Fonte della vita, allora l’unico modo appropriato in cui posso dare culto a Dio è vivere pienamente. Nel tentativo di abbracciare la pienezza della vita, rendo testimonianza alla realtà di Dio che è la Fonte della vita.
Credo di avere percepito Dio come la Fonte dell’amore.
L’amore è la forza che accresce la vita. Esso scorre attraverso l’universo trovando espressione nella cura che la natura in tutte le sue forme viventi offre ai suoi piccoli, sebbene l’amore raggiunga l’autocoscienza solo negli esseri umani. Se Dio è la Fonte dell’amore, allora l’unico modo in cui posso dare culto a Dio è amando “prodigalmente”, una frase che mi piace ripetere. Con amore “prodigo” intendo il genere di amore che non si ferma mai a calcolare se l’oggetto del suo amore sia degno di riceverlo. È l’amore che non si ferma mai a calcolare il merito. È l’amore che ama senza che l’amore sia stato guadagnato. È nell’atto di amare “prodigalmente” che credo di rendere visibile Dio.
Credo di percepire Dio come il Fondamento dell’essere.
Infine, credo di percepire Dio, a detta del mio più grande mentore teologico, il teologo riformato tedesco Paul Tillich (1886-1965), come il Fondamento dell’essere. È un’espressione difficile da afferrare. È stata presa in prestito, e da Tillich modificata, dal filosofo Plotino, un filosofo greco della prima parte del terzo secolo d.C., che non era nemmeno cristiano. Se Dio è il Fondamento dell’essere, allora l’unico modo in cui posso dare culto a Dio è avere il coraggio di essere tutto ciò che sono in grado di essere; e più profondamente riesco a essere tutto ciò che posso essere, più posso e rendo Dio visibile. Così la realtà di Dio per me si scopre nell’esperienza che mi spinge a “vivere pienamente, amare prodigalmente e avere il coraggio di essere tutto ciò posso essere”.
La missione in cui mi guida questa comprensione di Dio non è quella di costruire un’istituzione religiosa o di aiutare le persone a diventare religiose. Infatti, volendo sapere la verità, sono più respinto da coloro che sono attratti da ciò che la gente chiamerebbe religione di quanto io sia attratto da loro. No, la missione cui il mio mantra mi chiama è il compito di costruire o trasformare il mondo in modo che ogni persona vivente abbia una migliore opportunità di vivere pienamente, di amare prodigalmente e di essere tutto ciò che ognuna di loro è stata creata a essere nell’infinita varietà della nostra umanità. Non ci possono essere emarginati; non ci può essere nessuno considerato “impuro”. Non ci possono essere pregiudizi cui sia permesso di operare in questa visione del cristianesimo. L’essenza del cristianesimo, per come ora la intendo, è che tutti devono essere accettati “così come sono, senza bisogno d’implorarlo” e che tutti sono chiamati al compito di diventare tutto ciò che ognuno può essere. La prima fase di questo processo è ciò che il cristianesimo tradizionale una volta chiamava “giustificazione”; la seconda, è ciò che chiamava “santificazione”. Aggiungo una cosa a questo mantra. Sono cristiano. Sono discepolo di Gesù. Perché? Perché quando guardo la vita di Gesù, quella vita che mi è stata restituita attraverso le Scritture e la tradizione, vedo una persona che era così pienamente viva che percepisco in lui la Fonte infinita della vita. Vedo una persona che ama così totalmente e così prodigalmente, che percepisco in lui la Fonte infinita dell’amore. Vedo una persona che era profondamente capace di essere tutto ciò che poteva essere, sia che fosse la Domenica delle palme, quando fu salutato come un re – non c’è nulla di così seducente come il dolce narcotico della lode umana –, sia che fosse il Venerdì santo, quando fu condannato a morte, allorché perfino la minaccia del non-essere non ha alterato la sua umanità. In entrambe le esperienze, Gesù è stato ed è ciò che egli era ed è. Non è stato cambiato dall’adulazione, il suo essere non è stato sminuito dall’imminenza della sua morte. Così mi unisco a san Paolo nell’affermazione di fede: “Dio era in Cristo”, che fa emergere unità dalla diversità, pienezza dalla frammentarietà ed eternità dal tempo. Questo è il Dio da cui sono attirato e che venero. Questo è il Cristo che mi indica la pienezza di Dio. Questa è la fede che cerco di condividere con il mondo. Abbracciare la vita, incrementare l’amore, avere il coraggio di essere: queste, per me, sono le porte attraverso le quali cammino nel mistero di Dio. Questo Dio è per me reale e Gesù è ancora la mia porta di accesso a questa realtà. In questo Gesù, il futuro del cristianesimo diventa nuovamente visibile. Cammino con entusiasmo in questa esperienza di Dio centrata sulla vita. Accolgo calorosamente il cristianesimo cui questa visione m’invita. Rendo testimonianza alla fede che porta me e il mondo intero a vivere pienamente, ad amare prodigalmente e a essere tutto ciò che possiamo essere.
Shalom. John Shelby Spong
Tratto dal libro "Incredibile - perché il credo delle chiese cristiane non convince più"
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