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“Sequela” di Gesù e “religione” cristiana



Il verbo “seguire” (akoluthéô) compare 90 volte nel NT, quasi sempre nei vangeli. In 73 casi questo verbo si riferisce alla sequela di Gesù (o di Cristo). La “religione”, la religio latina, in nessuna delle sue accezioni greche (tò sébas, “rispetto per gli dèi”; eulábeia, “timore razionale”, threskeía, “culto religioso”, “religione di osservanze”) non è mai citata nei vangeli. Quindi, se ci atteniamo in generale al linguaggio ed al vocabolario, si può affermare con certezza che in generale la relazione dei discepoli e della gente con Gesù non è stata determinata dalla religione, ma dal legame della propria vita con la vita di Gesù. Da quanto detto ne consegue che il Vangelo non è fondamentalmente questione di credenze, di rituali, di sottomissione a norme e comandamenti, di culti sacri, di proibizioni e tabù. Tutto questo, in quanto elementi o componenti della religione, non è mai interessato alle comunità cristiane nelle quali si sono conservati e redatti i racconti che ci hanno trasmesso la vita di Gesù di Nazareth. Il centro dell’attenzione, di interesse e di spiegazione del Vangelo sta nella sequela di Gesù. Cioè, nella vita condotta da Gesù ed integrata nella propria vita. Per questo, nei tre vangeli sinottici la prima cosa che si ricorda di Gesù è che, all’inizio della sua attività pubblica, dopo il battesimo ed il racconto delle tentazioni nel deserto, per prima cosa ha chiamato i primi discepoli perché, “lasciando tutto” (Lc 5,11), “lo seguissero” (Mc 1, 16-20; Mt 4, 18-22; Lc 5, 1-11). Nel Vangelo di Giovanni, già a partire dal primo capitolo in un diverso contesto, praticamente ci viene detta la stessa cosa.

la sequela ci sradica tutte le sicurezze che possiamo avere nella vita

I primi discepoli si misero a “seguire Gesù” (Gv 1,37). È importante ricordare che nei quattro racconti dei vangeli non si dice che i primi discepoli a partire dal primo momento si sono messi ad ascoltare Gesù, hanno incominciato ad apprendere i suoi insegnamenti, sono andati a pregare nel deserto, hanno iniziato a praticare determinate norme, leggi o comandamenti e si sono dedicati ad adempiere osservanze rituali. Assolutamente nulla di tutto questo. Solo una cosa: “lasciando tutto, seguirono Gesù”. La chiave di comprensione e di interpretazione del Vangelo non è la religione, ma la sequela di Gesù. Ebbene, questo significa, prima di tutto, che il Vangelo non è un “libro religioso”, né una “biografia” di Gesù. Il Vangelo è un “progetto per la vita” ed offre un insieme di “convinzioni” fondamentali che umanizzano colui che le vive. In maniera tale che in questo il Vangelo pone la religiosità. Si tratta quindi di una “religiosità alternativa”. Non è la religiosità dei dogmi, dei comandamenti, dei rituali e delle osservanze. È la religiosità che si realizza nella nostra umanità. In maniera tale che, secondo il Vangelo, è profondamente religioso colui che, nella misura del possibile, arriva ad essere profondamente umano.

Ma interessa moltissimo analizzare più da vicino quello che significa e rappresenta la “sequela” di Gesù. Si è già detto in questo libro che la “sequela” di Gesù e non la “religione” tradizionale è la chiave per poter interpretare e comprendere correttamente il Vangelo. Perché è così? Senza entrare in dettagli tecnici che non interessano in questo momento, la questione fondamentale sta nel fatto che secondo i vangeli si conosce Gesù mediante la “sequela”. Cioè, Gesù è stato un essere umano. Ma un essere umano di una tale profondità che, senza smettere di essere pienamente umano, allo stesso tempo trascende noi uomini in maniera tale e fino al punto in cui non possiamo avere accesso a lui mediante lo studio, l’analisi e gli altri mezzi sui quali fa affidamento la nostra conoscenza per conoscere qualcosa o per conoscere qualcuno. Solo mediante l’identificazione della nostra vita con la vita che ha condotto, solo così possiamo avere accesso a quello che è, a quello che rappresenta ed a quello che esige Gesù, il Messia, il Signore.


Per questo giustamente Johann Baptist Metz ha detto con la più grande precisione: “Il sapere cristologico si forma e si tramanda non primariamente nel concetto, bensì in questi racconti di sequela”. Ed anche: “la prassi della sequela è parte costitutiva della cristologia”. Cioè, la cristologia, il vero sapere su Gesù, il Messia, non si realizza, si raggiunge e si impara studiando teologia o analizzando testi della Bibbia o passi dei vangeli, ma seguendo Gesù. Vivendo quello che Gesù ha vissuto e come lo ha vissuto. Perché, in realtà, questa è la sequela così come la presenta il Vangelo. E così è stata effettivamente: la prima cosa che ha fatto Gesù, quando ha iniziato la sua attività pubblica, è stato riunire un gruppo di discepoli. Ma a quei discepoli Gesù non ha incominciato a far loro un corso di cristologia, perché venissero a conoscenza di quello che li attendeva e della vita che avrebbero condotto. Nulla di ciò. Gesù non ha spiegato loro, all’inizio, assolutamente nulla. Non ha proposto loro un programma, non ha spiegato loro perché li chiamava e non ha offerto loro alcuna ricompensa. Ha detto loro solo una cosa: ha chiesto loro che abbandonassero tutto ed andassero a vivere con lui e come lui.

Ebbene, se la “sequela” di Gesù consiste nell’abbandonare tutto per poter vivere con lui e come lui, questo vuole dire che la sequela ci sradica tutte le sicurezze che possiamo avere nella vita. Perché sia effettivamente efficace il criterio secondo il quale l’aspetto principale e determinante nella vita sia sempre la bontà in ogni situazione e con ogni tipo di persone, quali che siano.

Per questo si capisce che, delle 90 volte che appare il verbo “seguire” (akolouthéô) nel NT, 73 di questi testi si riferiscono alla sequela di Gesù. In quest’abbondante documentazione spiccano due racconti nei quali si vede con chiarezza fino a che punto Gesù chieda ai suoi seguaci di spogliarsi di tutte le sicurezze che ci offre la vita, perché possiamo vivere sempre nella bontà, che è il centro e il fulcro del Vangelo. Il primo di questi racconti evidenzia con fermezza le condizioni per poter seguire Gesù: lo spogliarsi economicamente, in modo che non si abbia neanche la minima sistemazione che possano avere gli animali del campo; la liberazione da ogni tipo di legami religiosi; il distacco da ogni dipendenza dalla istituzione familiare (Mt 8, 19-22; Lc 9, 57-62).

Senza dubbio, il testo più duro e difficile da capire è la risposta data da Gesù al discepolo che ha mostrato il suo desiderio di seguirlo, ma chiedeva di adempiere prima al dovere di dare sepoltura a suo padre (Mt 8, 21-22 par), qualcosa di assolutamente naturale, anzi necessario. Ebbene, quello che sorprende e risulta a prima vista incomprensibile è la risposta di Gesù: “Seguimi e lascia che i morti seppelliscano i loro morti” (Mt 8,22 par). L’impressione spontanea che si ha, quando si pensa che Gesù abbia potuto dire questo ad un uomo che aveva davanti il cadavere di suo padre appena morto o forse il padre era così anziano che doveva curarlo fino all’ultimo sospiro, è che Gesù esigesse condizioni assurde, inumane e persino irrazionali. Si può pensare che Gesù fosse così fanatico?

Seguire Gesù caricandosi della croce è la stessa cosa che abbandonare l’ambito del sacro per aprirsi a tutto il resto del mondo, nel quale non ci sono mura, porte, separazioni

La risposta a questa domanda è, per quanto sembri strano, che Gesù era più avanti di chi è più avanti tra noi. Perché? Per la semplice ragione che, ai tempi di Gesù, l’ultimo servizio ai morti era stato collocato al vertice di tutte le opere buone. Questo vuole dire che per non pochi israeliti di quel tempo seppellire il proprio padre era il compendio di tutta la religione e delle sue osservanze, per cui giungiamo alla seguente conclusione. Quello che Gesù stava chiedendo a quel discepolo era né più né meno che questo: se vuoi seguirmi e dedicarti a fare quello che io faccio (mettere in pratica la bontà con tutti), devi liberarti dai legami imposti dal denaro, dalle sottomissioni che impongono le osservanze religiose e dalle dipendenze che esigono le relazioni familiari.

Nel dire tutto questo, Gesù in definitiva stava affermando che la sicurezza economica, la sottomissione alle osservanze della religione e i legami imposti dai vincoli familiari, sono le tre sicurezze che ci impediscono di essere buone persone e rendono anzi impossibile il fatto che la bontà sia la nostra carta di identità.

E questo ce lo insegna l’esperienza. Tutti abbiamo una spiccata tendenza a tranquillizzare la coscienza di fronte al brutale spettacolo della sofferenza che c’è nel mondo, nella società e che a volte è molto vicino a noi, ricorrendo alla sicurezza che ci danno il denaro ed i beni che possediamo, alla fedele osservanza della religione che adempiamo ed alle contorte dipendenze che a volte ci impone la famiglia secondo il suo modello tradizionale.

Non dimentichiamo mai che la bontà si costruisce sulla libertà. Per questo Gesù è stato così esigente per quanto si riferisce alla sequela. Perché senza libertà non è possibile la bontà.

L’altro testo, fondamentale per comprendere il significato della sequela di Gesù, è l’appello che Gesù ha fatto ai discepoli ed alla moltitudine (tòn óchlon): “Se qualcuno vuole venire con me, rinneghi se stesso, si carichi della sua croce ed allora mi segua” (Mc 8,34). La stessa idea si ripete in Mt 16, 24 e Lc 9,23, ma in questi testi, che procedono dalla fonte Q, non si utilizza il verbo “seguire”, ma l’espressione “andare dietro di me”. L’idea di fondo è la stessa in ambo i casi: “seguire Gesù” è non solo spogliarsi di ogni “sicurezza”, ma qualcosa di molto più radicale: vedersi spogliato di ogni “dignità”. Questo significa, certamente, qualcosa che è stato formulato con la più grande precisione: Gesù per il suo modo di vivere e per l’attività che ha realizzato, ha accettato “il ruolo più basso che una società possa offrire: quello del criminale giustiziato”. Ecco perché il Cristianesimo nei primi tre secoli della sua esistenza si è diffuso soprattutto tra i gruppi sociali più declassati, tra i poveri e gli esclusi sociali. È vero che quest’idea non si è potuta precisare esattamente nel caso delle comunità, delle “chiese” fondate da Paolo. Altra cosa è se parliamo delle comunità nelle quali si sono elaborati e redatti i vangeli. Descrivendo quello che è stato e come ha vissuto “il movimento di Gesù”, si è detto giustamente che “il cristianesimo delle origini non sostiene dunque soltanto il valore dell’umiltà e della rinuncia allo status con una coscienza aristocratica, ma lo eleva ‘sino al cielo’: esso diviene il carattere fondamentale del comportamento divino”. Ed è vero che, se non si comprende questo, non potremo mai comprendere i vangeli e, men che mai, comprendere Gesù.

Seguire Gesù equivale ad assumere un modo di vivere laico. Non perché “il laico” ci avvicini a Dio più del “sacro”, ma perché la laicità, portata fino alle sue estreme conseguenze, è il modo di vivere che rende possibile la bontà senza condizioni, la bontà che è il fulcro ed il centro del progetto della signoria di Dio

Ma il contesto di tutta questa questione ha alcune radici così profonde che normalmente non consideriamo quello che rappresenta l’esigenza di Gesù, quando afferma che “seguirlo” significa “caricarsi della croce”. Non si tratta di accettare la sofferenza e la morte come programma di vita. Gesù non è stato un masochista, né un capo crudele. La proposta di Gesù va per un’altra strada. Quando la gente di Galilea ha udito queste parole, certamente ha dovuto pensare alle esecuzioni in croce praticate dal potere militare romano. Ebbene, nell’Impero romano un crocifisso era un “escluso totale”. Escluso non solo dalla società, ma soprattutto dalla religione. Per questo Gesù ha subito la crocifissione, ma l’ha dovuta subire “fuori della porta” (Eb 13,12), cioè la porta che apriva l’accesso alla città santa, Gerusalemme. Perché la morte in croce non si poteva realizzare nell’ambito del “sacro”, ambito chiuso e cinto con mura.

Seguire Gesù caricandosi della croce è la stessa cosa che abbandonare l’ambito del sacro per aprirsi a tutto il resto del mondo, nel quale non ci sono mura, porte, separazioni. Ecco la ragione profonda che spiega fino in fondo come e perché, per vivere la bontà senza alcun limite, è necessario uscire dalla porta che apre e chiude lo spazio sacro. “Fuori della porta”, nel campo aperto del laico, è il luogo dove si rende possibile vivere il “rituale laico” che consiste nella “solidarietà e nel fare il bene”. Perché “questi sacrifici sono quelli che piacciono a Dio” (Eb 13,16). Ecco perché molto giustamente l’autore della Lettera di Giacomo fa quest’affermazione che cambia completamente quella che è la vera pratica del Cristianesimo: “Religione (threskeía) pura e senza macchia agli occhi di Dio Padre è visitare gli orfani e le vedove nella loro afflizione, custodire se stesso immune dal contagio del mondo” (Gc 1,27). È la “religione” convertita e spostata verso la pratica della misericordia, l’espressione che la gente di Chiesa ha dato alla bontà. Nei fatti, quindi, secondo il criterio del Vangelo, la relazione con Dio non si realizza mediante l’osservanza della religione, ma nella pratica generosa della bontà.

Quindi, nella mentalità dei vangeli la sequela di Gesù si presenta a noi non solo legata all’esperienza di chi si fida del modo di vivere di Gesù, ma anche al fatto di vedersi escluso dalla religione. Seguire Gesù equivale ad assumere un modo di vivere laico. Non perché “il laico” ci avvicini a Dio più del “sacro”, ma perché la laicità, portata fino alle sue estreme conseguenze, è il modo di vivere che rende possibile la bontà senza condizioni, la bontà che è il fulcro ed il centro del progetto della signoria di Dio. Quando questo fulcro e questo centro non è il dogma al quale sottomettiamo la nostra mente, quando non è il rito che comporta sempre il pericolo di diventare la forma di comportamento primario spostando l’ethos, quando non è il sacro e neanche il tabù; e quando, quindi, resta in piedi solo la bontà che abbiamo profuso davanti alla sofferenza, alla solitudine, alla disgrazia ed all’abbandono della gente, allora e solo allora possiamo pensare e dire che stiamo vivendo il “Cristianesimo senza frontiere” e nella sua pienezza.




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