È una delle accuse più ricorrenti rivolte ai teologi legati al paradigma post-religionale e post-teista: quella di distruggere il patrimonio religioso del passato senza costruire alcuna valida alternativa. Ed è (anche) a questa accusa che uno dei principali promotori dei nuovi paradigmi teologici, il clarettiano spagnolo residente a Panama José María Vigil, risponde nel suo libricino telematico Teología Popular no teísta. Acercamiento popular al tema, pensato proprio per i non addetti ai lavori, e cioè «per accompagnare le persone aperte, inquiete e consapevoli del momento di cambiamento radicale in cui ci troviamo relativamente alla sfera religiosa». Si tratta di un momento, spiega, in cui quasi tutto ciò che abbiamo appreso da piccoli «è come sfumato via» e in cui dogmi, formule, riti e liturgie assomigliano sempre più a «morti che camminano»: «non si sa cosa significhino, perché al loro significato diretto e letterale non credono più nemmeno i bambini». E allora, «in questo naufragio che ci è toccato vivere, in questo Titanic collettivo in cui ci troviamo», mentre alcuni non si accorgono di niente, altri non hanno intenzione di lasciare l'orchestra e altri ancora preferiscono chiudersi in cabina, diventa importante fornire «un manuale di sopravvivenza» per coloro che, convinti che la nave stia affondando, cercano un'altra barca o una scialuppa di salvataggio. Di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, alcuni stralci tratti dalla pubblicazione di Vigil, rimandando per la lettura integrale (e in lingua originale) del libricino all'indirizzo academia.edu/54500301. Contestualmente si rimanda al 1° Convegno internazionale “Oltre le religioni”, sul tema “Quale Dio? quale cristianesimo? La necessità di ripensare la fede” in programma il 2 aprile prossimo, al quale sarà presente, tra gli altri, lo stesso Vigil.
Teologia non teista. Un approccio popolare al tema
È facile decostruire, il difficile è costruire
Tutti noi che in un modo o nell'altro parliamo dei NP (Nuovi Paradigmi), li studiamo e li consideriamo come un nuovo modo di vivere la religiosità, abbiamo sentito almeno una volta questa lamentela-accusa: «È molto facile distruggere, il difficile è costruire». Intendendo con ciò: «con i NP, voi vi sbarazzate di molte cose della fede tradizionale e le buttate via, ma questo possono farlo tutti. Si distrugge la fede, e il credente resta senza nulla... Il difficile è costruire, è questo che è importante e urgente. Non si deve distruggere senza costruire». Non dimentico la prima volta che me lo hanno detto, anni fa. Ho avuto un piccolo shock. Mi sono sentito come se mi accusassero di essere un piromane irresponsabile, qualcuno che distrugge la religiosità delle persone senza offrire una nuova proposta. E quest'ultimo punto era vero: in realtà non avevamo ancora una proposta alternativa, né sapevamo bene in che direzione stava andando la nostra ricerca. Non voglio dire – in nessun modo – che oggi qualcuno abbia già questa proposta alternativa... Tutti sentiamo che questa è una ricerca, che stiamo appena cominciando, che questa metamorfosi dirompente (realmente di rottura) non si può spiegare e risolvere con un articolo, un video, un libro e neppure con una collana. Questa rottura è molto più profonda. E che molti provino paura di fronte a questa incipiente decostruzione è più che comprensibile, tanto in coloro che reagiscono respingendola, quanto in quelli che come noi puntano decisamente a salire su questa scialuppa di salvataggio. Ebbene, ultimamente si sente spesso questa critica rispetto alla proposta del non teismo: «è molto facile distruggere... come sembra fare il non-teismo, ma il difficile è ricostruire...». (...). Proseguiamo con la riflessione, in vari punti. - Distinguiamo tra decostruire e distruggere. Utilizziamo la metafora stessa della costruzione. Ci sono volte in cui un edificio necessita di misure di ristrutturazione molto decise (...): nessuna di queste però viene considerata negativamente come distruzione, bensì come un passo necessario per il miglioramento dell'edificio. Ci sono volte invece in cui un vecchio palazzo non vale più nulla ed è meglio – o è addirittura necessario – abbatterlo per far spazio a una costruzione nuova. La cosa più semplice è usare la dinamite. Questo non si chiama decostruire, ma distruggere, abbattere, far saltare in aria. Al centro di Madrid c'è un tempio egizio, quello di Nebod, che si trovava nella zona poi inondata dalla diga di Assuan e che, insieme a edifici simili, era stato offertoai Paesi che intendessero prendersene carico. La Spagna lo aveva smontato, decostruito, trasferito e rimontato nella capitale. Si è trattato di una decostruzione (...). Sostenere la plausibilità (...) di un paradigma post-teista, o non teista, non significa sbarazzarsi di Dio, non ha a che vedere con l'ateismo, non è abbattere credenze, né far volare in aria edifici teologico-dogmatici multisecolari. Deve significare, piuttosto, fare un grande sforzo per studiare, anche dal punto di vista archeologico-culturale, da dove viene questa idea di Dio, quando sorge, dove, in quale contesto culturale, con quali influenze, tra quali gruppi umani, che conseguenze ha avuto dal punto di vista sociale e politico, come si è diffusa, in quali culture e regioni, come ha influito sulle religioni del tempo... Proporre il paradigma post-teista in ambito cristiano implica anche parlare da una prospettiva più ampia di quella delle nostre rispettive Chiese: dalla prospettiva della tradizione giudaico-cristiana e oltre un quadro puramente biblico o ecclesiastico-magisteriale... Sostenere tale visione – tentare di farlo, almeno – con tutto questo sforzo e questo ampliamento di prospettive, non può significare "distruggere", bensì "decostruire" con la massima cura. (...). - Effettivamente, «costruire può essere più difficile». È chiaro. Ma ne siamo sicuri? Dovremmo fare uno studio sull'enorme quantità di persone che hanno abbandonato le religioni perché si sentivano soffocare dinanzi a Theos, dinanzi a quel Dio che da 7000 anni l'umanità ha posto in un secondo piano, che è Onnipotente e inappellabile, che esige sottomissione, che è la fonte dell'essere, che può intervenire in qualsiasi momento contro le leggi naturali o che può farci sparire semplicemente smettendo di pensare a noi. È assai probabile che molte di queste persone che hanno gettato via questo Dio ci dicano che hanno potuto eccome costruire qualcosa di meglio per se stesse, che non è risultato loro impossibile e che onestamente pensano di essere più felici ora di prima (in base a un'inchiesta realizzata in Francia recentemente, solo un 3% della popolazione pensa che la religione migliori la vita umana...). Non è sicuro che costruire una visione post-teista sia la cosa più difficile, per quanto vi siano persone per le quali è così. Per quanto si possa pensare che sia più difficile "costruire" da un punto di partenza post-teista, ciò non giustificherebbe comunque il fatto di restare nel vecchio edificio inabitabile e bloccarne la decostruzione per paura della necessaria costruzione successiva. (...). - Poiché l'edificio si sta deteriorando in maniera accelerata da vari secoli, è assai ragionevole porsi il problema della sua decostruzione. O forse della sua "demolizione controllata", se si prende atto della sua attuale inutilità o anche dei gravi danni che può provocare. Non diciamo che sia "ovviamente" necessario, perché ciò non risulta ovvio per molte persone né per le istituzioni "interessate"; ma che, sì, è una proposta ragionevole e approfonditamente studiata in maniera interdisciplinare e che è una moltitudine crescente di persone ad abbandonare la credenza teista (...). - Bisogna riconoscere onestamente i pro e i contro di tutte le opzioni spirituali. Per noi che portiamo avanti questa ricerca, senza smettere di ascoltare e accogliere tutte le possibili critiche, è una conferma e una consolazione fare esperienza di come questa nuova prospettiva sia di aiuto e conforto a molte persone che si sentivano soffocare nell'ambiente religioso-teista. Lo si avverte in primo luogo nell'esperienza personale, così chiara e intensa da farci dire: «io non potrei più tornare indietro...». Ma pur non potendo svolgere inchieste sociologiche, ci sembrerebbe irresponsabile, nell'attuale situazione di deterioramento inarrestabile della situazione del cristianesimo in Europa e in tutta l'America, bloccare la proposta di ricerca di un paradigma post-teista finché non si sia costruita la successiva parte positiva. Nel frattempo restiamo esposti alle intemperie? Dipende da ognuno. Alcuni preferiscono trovarsi un rifugio, per quanto possa costituire una sistemazione di fortuna; altri preferiscono riconoscere che si sta sempre in buona parte nelle intemperie, accettando che la natura umana sia finita e che la propria autocoscienza non consenta di conoscere tutti i livelli della realtà, accettando di sentirsi a proprio agio nella finitezza, senza necessità di spiegazioni non rigorose (fideiste, dogmatiche, poetiche, metaforiche, teologiche, mitologiche...). - Non assumere la necessità di decostruire non è difficile, è la cosa più semplice. E la più irresponsabile. È, in fin dei conti, quello che, a partire dal XVI secolo, ha fatto sì che la Chiesa accumulasse un ritardo di secoli (200 anni secondo il cardinal Martini) rispetto alla cultura del tempo, ai diritti umani, alla democrazia, all'uguaglianza delle donne... tutto questo ad maiorem Dei gloriam, a causa di un'immagine di Dio, di un modello concreto di immaginare la Realtà. (...)
È ora di esporre più in positivo quale dovrebbe essere il nucleo di questa fede non teista
(...) Il nuovo modello di comprensione non teista non potrà essere delineato né costruito
finché non si sia decostruito e superato il vecchio modello che occupava tutto lo spazio. O uno o l'altro. Non entrano entrambi nello stesso terreno (fisico e mentale). La mia risposta è semplice. Dirò quello che ho vissuto e sto vivendo, non una teoria né una risposta appresa nei libri. Si può spiegare in vari modi; per me la più chiara è la seguente: il non teismo non è ateismo; il non teismo non significa smettere di credere in Dio, ma smettere di credere che Dio sia Theos. Le religioni sono risposte umane al Mistero: credosi possa partire da questa definizione generica. Ebbene, nelle epoche più antiche, il Mistero è stato colto in una maniera globale, olistica, come qualcosa che permea tutta la realtà, in un'unità profonda, senza divisione né contrapposizioni. Come si è soliti dire, si viveva in una specie di uovo cosmico, in cui tutta la realtà era sacra e impregnata di sacralità, del Mistero a cui si cerca di dare risposta. Tuttavia – semplificando moltissimo le conclusioni a cui oggi ritiene di essere arrivato un insieme di scienze –, si è registrata, in un bivio concreto della nostra evoluzione, una trasformazione profonda nel modo di percepire questo Mistero, e ovviamente, per una serie di fattori complessi a tutti i livelli, quella esperienza religiosa è stata anch'essa profondamente trasformata. Il mondo è risultato diviso tra terra e cielo, tra materia e spirito, tra corpo e anima, tra naturale e soprannaturale, tra umano e divino. L'uovo cosmico si è rotto. Sotto è rimasto il piano materiale, terrestre, corporeo, sessuale, femminile... ed è apparsa una regione nuova, fino ad allora sconosciuta: l'empireo, diventato il luogo in cui si è rifugiata e si è concentrata la divinità, la sacralità, il Mistero, di cui così è rimasta priva la realtà umana terrestre (...). Come centro e supporto di questa nuova architettura della Realtà – questo nuovo modello di comprensione della realtà – è apparsa una figura anch'essa nuova, «Theos», un Essere Supremo, distinto ed esterno al mondo, preesistente ad esso, onnipotente, provvidente, che mantiene in essere tutto il resto con il suo semplice pensiero (se smettesse di pensarci scomparirebbe), che crea attraverso la parola, che sparge i suoi messaggi sugli umani... Oggi la scienza ci dice che tutto questo è avvenuto – per quello che sappiamo oggi e che sappiamo sempre di più – nel quinto millennio prima dell'era volgare, circa 7.000 anni fa. All'interno di questo nuovo modello di comprensione della Realtà, un modello dualista, basato su due piani contrapposti in molte delle loro dimensioni, caratterizzato come "teista", in forza del suo elemento centrale, Theos, sono sorti più tardi la Grecia, Israele, la
Bibbia, il movimento di Gesù, il cristianesimo ellenista e poi costantiniano, la Cristianità medioevale... e siamo nati praticamente tutti noi. La fede in cui siamo cresciuti è stata certamente teista. Theos ci è stato presentato come il centro essenziale della Realtà. La divinità della Realtà è rimasta catturata e cristallizzata in questo modello di Theos-Kyrios-Soprannaturale. Ci troviamo ora, tuttavia, in un'epoca autenticamente "assiale", caratterizzata da una trasformazione radicale e critica rispetto alle rappresentazioni ancestrali che abbiamo ereditato. E – non lo ripeteremo – con l'aiuto principalmente delle scienze stiamo scoprendo il percorso seguito nella costruzione di questo modello di rappresentazione, prendendo atto in maniera molto chiara del fatto che si tratta di un modello costruito da noi, con scarso fondamento e con gravi conseguenze su noi stessi e sulla natura e il pianeta. E ci appare evidente sempre di più che abbiamo a che fare con un edificio disfunzionale, che non serve più, che fa danni e che ci impedisce di costruire un edificio nuovo. È per questo che la condizione sine qua non è decostruirlo (e non demolirlo, perché le macerie sarebbero ancora di ostacolo). È più coerente con la nostra natura di esseri razionali e spirituali decostruire, pazientemente, con lo studio, con l'aiuto della scienza, con senso critico e rispetto, tutto quell'edificio che, in ogni caso, non solo non è più utile ma è anche dannoso. Scoprire, cogliere il paradigma non teista, come molte persone fanno con sollievo, significa lasciar libero il terreno per recuperare ciò di cui abbiamo bisogno, forse ciò che in quel cambiamento d'epoca a cui ci siamo riferiti abbiamo espatriato nel piano superiore svuotando di sacralità questo mondo di sotto. Molti antropologi dicono che è lì che "ci siamo sbagliati", 7.000 anni fa, e, se non serve cercare colpevoli, bisogna però trovare un rimedio. Cosa riempirà il vuoto lasciato da questo modello teista dualista, schizofrenico, gerarchico, impegnato a svalutare la natura e il corpo? Ebbene, non ci sarà bisogno di costruire un'"altra cosa", bensì, semplicemente, basterà abbandonare il cammino sbagliato, dualista, recuperando le nostre radici divine cosmiche e terrene, la nostra casa, quello stesso Mistero ineffabile, cosmico, sacro, olistico, apofatico... che ha alimentato spiritualmente la nostra specie per millenni. Non torneremo indietro, perché tutte le esperienze ci servono per saltare creativamente in avanti. Cosa riempirà questo vuoto lasciato da un Theos up there, out there? Lo riempirà chi lo ha sempre riempito, il Mistero a cui cercano di rispondere tutte le esperienze religiose. È un altro modello di comprensione della realtà, un altro modello anche di sacralità, di divinità e di religiosità, non teista. Después de Dios... Otro modelo es posible, recitava il titolo del nostro libro. È possibile un altro modello di divinità, di sacralità, di spiritualità, un'altra concezione generale del tutto. Benché la concezione teista sia l'unica che molti di noi hanno conosciuto e benché per questo ci risulti difficile immaginarcene un'altra, siamo riusciti a decostruire ragionevolmente ciò che sembrava blindato rispetto a ogni critica. È possibile, ed esiste, una spiritualità senza theos esterno, senza Kyrios gerarchico, senza un Tu nei cieli, una spiritualità non teista e pertanto neppure teocentrica... Non è un dramma, ma piuttosto una buona notizia: ci stiamo lasciando alle spalle il Theos che abbiamo creato con le nostre stesse mani sulla base di credenze, racconti, miti e rivelazioni immaginarie e stiamo tornando a riconoscere la divinità della Realtà, che è sempre stata lì, oscurata e censurata dal teismo. A sentirla, percepirla, accoglierla, lasciarcene penetrare e vivere in sintonia con essa. Domandare cosa sia realmente questo "indicibile che ci abita", come nucleo della fede non teista, non sarà chiedere troppo? Non sarà una domanda a cui non abbiamo risposta?
Come rimane Gesù? E varie altre domande sospese...
(...). Anche questa è una domanda molto frequente. E assai logica, chiaro. Se scopriamo che Theos è una costruzione umana, evolutivo-culturale, di 7000 anni fa e (...) se la società emancipata di oggi lo considera semplicemente non credibile, non accettabile, allora, nel momento in cui un credente ne prende atto, sente rompersi tutto l'edificio di senso in cui ha trascorso la sua esistenza. Dicevamo che Dio è la chiave di volta del significato globale della nostra esistenza in una società o cultura religiosa come quella che è stata fino a pochi decenni fa. (...). In fin dei conti, ciò che non si comprendeva o appariva manifestamente assurdo (che uno erano tre, che un uomo era Dio, che una madre era vergine, che un pane era carne...), era ricondotto alla volontà imperscrutabile di Dio, le cui vie non sono le nostre vie, che non potremmo mai comprendere. Qui, nel mistero e nella volontà di Dio, venivano assorbite e neutralizzate tutte le contraddizioni: si poteva credere che l'edificio restasse in piedi malgrado tanti problemi, problemi che Theos risolveva con la sua misteriosa entità. Ma se tantissimi cristiani passano a una prospettiva non teista – smettono di credere in Dio, in Cristo e nella Chiesa – e teologi e teologhe come pure molti credenti dalle posizioni avanzate ragionano sulla plausibilità di un paradigma non teista, senza Theos, diventa necessario pensare alle conseguenze inevitabili di questa crescente percezione. (...). Il compianto John Shelby Spong, nel suo libro dedicato al post-teismo, dopo aver esordito dicendo di non credere in un Theos, un Signore al di fuori e al di sopra, aggiunge subito che, per ciò stesso, non può neppure pensare che Gesù Cristo sia l'incarnazione del Theos venuto a questo mondo dal secondo piano. È ovvio. (...). Roger Lenaers, anche lui da poco scomparso, titola uno dei suoi libri Benché Dio non stia nell'alto dei cieli. Se non c'è Dio lì sopra, scompare allora il "cielo" come dimora superiore di Theos e della sua Corte Celestiale, come "secondo piano", come l'altro mondo. Che ne è di tutto quello che c'era lì? Che ne è degli angeli, compresi gli angeli custodi? Degli spiriti? Dei santi, che dovrebbero essere intercessori, mediatori, autori di miracoli? Non c'è dubbio che, in una rilettura non teista del cristianesimo, si debba risistemare tutto, perché senza la chiave di volta, la volta non si sostiene. (...).
Per questo bisogna de-costruire attentamente la volta e salvare, con ogni attenzione, gli enormi valori che abbiamo vissuto in questo edificio oggi in rovina. De-costruire, non distruggere, né demolire, né far saltare con la dinamite. Non sappiamo come sarà il nuovo edificio (che non sarà una ri-costruzione...). Non sappiamo se l'attuale bruco diventerà farfalla o cosa sarà. Quello che sappiamo, con sempre maggiore chiarezza, è ciò che ormai non serve più (...).. In realtà, con il nuovo paradigma non teista, non abbiamo bisogno di chiedere a nessuno "cosa si debba credere al riguardo"; forse non si tratta più di credere, non c'è nulla in cui bisogna credere, né deve stabilirlo nessuno. Ci troviamo in un'epoca nuova, segnata profondamente dalla scienza, e oggi "sappiamo" – sempre di più – ciò che è stato e come è stato e cosa c'è stato. Non tutto, ovviamente, ma sempre di più. (...). Sì, resta qualcosa di molto diverso. Ma non è decisione di nessuno: né della Congregazione per la Dottrina della Fede (nome attuale dell'Inquisizione fondata nel XV secolo), né di un papa che ci dia sicurezza con una dichiarazione infallibile, né di teologi e teologhe che facciano una "rilettura". Niente di questo è più necessario. Ci troviamo in un altro mondo. (...). Non bisogna distruggere nulla. Bisogna solo de-costruirlo, smontarlo, vedere con serenità cosa resta e accettarlo con onestà. (...). Cosa resta di Gesù nel non teismo? Ecco una buona notizia: resta tutto, tutto ciò che vari decenni di studi hanno mostrato rispetto a ciò che possiamo o non possiamo sapere di Gesù, del Gesù storico, di quello reale. E resta lì anche il processo di costruzione del dogma cristologico, teista, teocentrico, come un formidabile monumento teorico su basi senza fondamento storico, in buona parte mitiche, interpretate male e iperletteralmente come frasi lapidarie divine di una rivelazione biblica. Non bisogna demolire nulla: una decostruzione serena e onesta è sufficiente. Gesù dunque resta... in un'altra maniera. In realtà, (...) bisogna lasciarlo dove stava, dove è sempre stato, prima che costruissimo un Cristo differente. Né occorre reintepretarlo...: basta reinterpretazioni per salvare ciò che non si può salvare; accettare la realtà, ciò che sappiamo, ciò che scopriamo ogni giorno. Non si tratta di "credere"... Questa è stata l'essenza della religione nel mondo che già non esiste più. Il bruco non è più tale, anche se non sappiamo bene cosa sia o in cosa si stia trasformando. C'è molto più da dire su Gesù... Ma forse con ciò ci rimettiamo in cammino, per continuare a cercare.
(Tratto da: Adista Documenti n° 9 del 12/03/2022)
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