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IL PRIMO PASSO



Quanto segue è il tentativo di raccontare un’esperienza, riportando la scrittura a quel “dire io” che, seppur sfuggente, costituisce un punto di partenza e il riferimento di qualsiasi sincero parlare. Qualcuno ha detto che quando si scrive di qualcosa alla fine si scrive sempre di sé stessi, in fondo non si può dargli torto. Non seguirò quindi un approccio teorizzante, non farò astrazioni partendo dal generale per definire il particulare. Al contrario, con una sorta di audizione pubblica, renderò testimonianza, ricorrendo al genere autobiografico, e potrò dire, come diceva Montaigne nei suoi scritti: “Sono io stesso la materia del mio libro” (ma rammentava, poco oltre, come non ambisse a dipingere l’essere ma il passaggio, il divenire - e anche in questo lo seguirò).

Per quanto le definizioni rischino di incasellare e ingessare un’esperienza, devo dire che collocare la mia ricerca sul versante di una spiritualità oltre le religioni è la descrizione che mi corrisponde di più. Anche quando non ne ero pienamente consapevole questa è la strada che ho sempre percorso, attraverso tanti incontri, non poteva essere diversamente. Tutto ha inizio alla metà degli anni ‘80. Fino all’ora la mia attenzione verso la dimensione religiosa languiva nel profondo, era invece la politica a focalizzare ogni mio interesse. Appartengo a pieno titolo a quella generazione che negli anni ‘70 ha provato a dare l’assalto al cielo. (Questa espressione “Assalto al cielo” venne formulata da Marx Nel descrivere la Comune di Parigi nel 1871; solo più tardi ne compresi le possibili implicazioni religiose, se non teologiche).

Ma veniamo a me. Passati i trent’anni, vivendo nella “Milano da bere” di quel tempo, in cui si imponeva il rampantismo e l’affarismo, congedando ogni tensione verso un rinnovamento radicale della società, mi sentivo come un esule.

Mi riconoscevo in quell’indirizzo ed ebbi l’occasione di dialogare

E fu proprio questa specie di esilio interiore a orientarmi verso il “lavoro su di sé”. Cominciai a esplorare dimensioni fino a quel momento toccate di sfuggita: fu la psicologia del profondo (iniziai un’analisi personale, che successivamente mi condusse a formarmi nel campo della psicosintesi di Roberto Assagioli) e, soprattutto, furono le pratiche meditative e contemplative dell’oriente.

Nel primo caso come se l’esplorazione del mondo inconscio ad un certo punto mi aprisse su un piano più ampio della mia esperienza personale. Ricordo che C. G. Yung, in un suo libro sul rapporto tra psicologia e religione, scrive che le sue ricerche non sono rivolte ai beati possidenti della fede, ma alla moltitudine per cui il mistero è sommerso e Dio è morto, aggiungendo che per la comprensione delle cose religiose oggi non c’è altra via di accesso se non la psicologia.

Non sono in grado di confermare il valore universale di una simile affermazione, ma so che per me è andata anche così.


Quanto al ruolo svolto dalle pratiche meditative devo riconoscere che la mia fu proprio una “svolta ad Oriente”, come la definì il teologo americano Harvey Cox. Iniziai con lo yoga, per orientarmi successivamente alle pratiche di provenienza buddhista, che mi corrispondevano di più, e nello specifico verso lo za-zen, una forma di meditazione asciutta, priva di orpelli. Ciò che apprezzavo delle tradizioni orientali era il ribaltamento che operavano, assegnando una sorta di centralità all’ortoprassi piuttosto che all’ortodossia. Fra l’altro in quegli anni ripresi pure a studiare, frequentando i corsi di lingue orientali all’Ismeo (istituto voluto dal grande orientale Giuseppe Tucci), nella convinzione di poter comprendere meglio quel mondo così lontano dal nostro.

L’incontro, poi, con il pensiero di Jiddu Krishnamurti fu un passaggio fondamentale. Proclamato in giovane età “istruttore del mondo” (in India possono succedere anche queste cose), egli ad un certo punto rifiutò quell’investitura, sostenendo che la verità era una terra senza sentieri, verso cui non ci può incamminare seguendo un’organizzazione, una religione o altro, divenendo così un vero e proprio anti-guru.

Mi riconoscevo in quell’indirizzo ed ebbi l’occasione di dialogare su ciò con persone provenienti da tutto il mondo, soggiornando in un centro, creato dalla fondazione costituita intorno alla sua figura, nell’Hampshire, in Inghilterra e visitando la sede della fondazione stessa ad Adyar nell’India del sud, cogliendo al contempo i limiti di chi finisce per cristallizzare una testimonianza viva invece di lasciarla scorrere.

Partecipai fin dall’inizio e con passione a quell’esperienza, perché sentivo che era ciò che in quel momento mi corrispondeva.

Però sentivo che mancava ancora qualcosa alla mia ricerca ed era il rapporto con la religione di provenienza, quella cristiana. Ripresi in mano la Bibbia e a studiare la mistica cristiana (l’apofatismo, più vicino al buddhismo, era quello che mi interessava). Iniziai a contattare e a frequentare figure che, pur appartenendo al mondo cattolico, si erano rivolte alle pratiche meditative orientali. Furono suor Kathleen England, Cornelius Tholens (monaco benedettino), Andrea Schnoller (frate cappuccino), per citare i primi che mi vengono in mente.

Finché appresi che un missionario saveriano, p. Luciano Mazzocchi, e un monaco buddhista zen italiano, Giuseppe Jiso Forzani, entrambi rientrati in Italia dopo una lunga permanenza in Giappone, stavano dando vita, presso una cascina nella campagna lodigiana, a una comunità di dialogo cristiano-buddhista. Era “la Stella del Mattino”. Partecipai fin dall’inizio e con passione a quell’esperienza, perché sentivo che era ciò che in quel momento mi corrispondeva. In seguito entrai nel consiglio direttivo della comunità e fui direttore responsabile della rivista che veniva pubblicata. La Stella del Mattino non praticava alcun sincretismo, giustapponendo elementi dell’una e dell’altra religione, al contrario cercava di operare un sottile lavoro di sottrazione, eliminando tutto ciò che risultava esterno e superfluo all’interno di entrambe le confessioni religiose, per avere un rapporto diretto con la vita che sostiene la vita.


I ritiri mensili che si compivano includevano l’eucarestia accanto alla pratica intensiva dello za-zen, lo studio di testi cristiani e buddhisti, oltre ai lavori manuali che garantivano un minimo di autosufficienza. La comunità si stava facendo conoscere, acquisendo un discreto ascolto, allorquando la Congregazione per la dottrina della fede, nella persona del card. Ratzinger, aprì un procedimento nei confronti della Stella del Mattino.

Tale iniziativa era stata preceduta da un lungo articolo della “Civiltà Cattolica” dedicato alla comunità, nel quale si affermava, senza mezzi termini, che si erano largamente oltrepassati i limiti di un corretto dialogo interreligioso. Oggi penso che quelle indebite interferenze avrebbero potuto costituire l’opportunità per intraprendere il percorso verso una spiritualità oltre le religioni: se è vero che il religioso è costituito da una serie di continue conversioni, forse era giunto il momento di convertirsi dalle religioni. Non andò così. Di fatto la comunità si divise in due, una a indirizzo cristiano, l’altra buddhista, accentuando in quel modo il senso di appartenenza confessionale. Io non aderii a nessuna delle due, tenni la direzione della rivista per alcuni anni, cercando di mantenere viva quella fisionomia laboratoriale e di ricerca che la comunità si era data all’inizio, finché decisi che quella esperienza per me si era consumata.

era giunto il momento di proporre un’iniziativa mia

Già mentre erano in corso le varie traversie nella Stella del Mattino era entrato in contatto con il Centro Studi Dolciniani di Biella, fondato da Gustavo Buratti. Nato come centro di ricerca, documentazione e divulgazione sulla figura di fra Dolcino e del suo movimento, si era poi aperto allo studio del fenomeno ereticale in generale, con numerose iniziative e pubblicazioni a cui partecipai. Era toccante partecipare alla “giornata dolciniana” che si svolgeva nel mese di settembre presso il monte Rubello, dove avvenne l’ultima resistenza dolciniana. Iniziava con una celebrazione valdese molto libera al limitare del bosco, per proseguire con una assemblea ove ci si confrontava sul senso di essere eretici oggi. Ci si spostava infine in una malga alpina per condividere il cibo, insieme a danze e canti. Purtroppo l’improvvisa scomparsa di Gustavo ridimensionò l’attività del centro.

Gli incontri e le conoscenze di cui ho fin qui parlato mi convinsero a quel punto che era giunto il momento di proporre un’iniziativa mia, in grado di elaborare quelle esperienze. Diedi così vita a un sito (www.liberospirito.org), tutt’ora attivo, una sorta di piccola biblioteca online, con materiali su figure rilevanti nella ricerca di una spiritualità oltre le religioni e su alcune tematiche oggi centrali, quali ad esempio l’eco teologia, le teologie di genere, il dialogo interreligioso.


La scelta del nome era un omaggio ai Fratelli e alle Sorelle del Libero Spirito che nel Medioevo professavano la presenza dello spirito che li pervadeva e li rendeva liberi e libere da ogni autorità, ecclesiastica o non, scegliendo la forma del movimento e non di una nuova Chiesa da contrapporre a quella di Roma. In quel periodo ebbi anche modo di leggere e poi dialogare proficuamente con figure centrali del post-teismo. Penso a John Spong e a Roger Lenaers, conosciuti nel corso delle tavole rotonde a loro dedicate, a cui fui anch’io invitato, all’università di Bergamo.

Nel frattempo il sito diede risultati inaspettati: ci furono contatti un po’ da tutta l’Italia (qualcuno anche dall’estero) e in breve nacque un piccolo gruppo, strutturato orizzontalmente, privo di qualsiasi organigramma gerarchico, dando vita sia a momenti di confronto e di autoformazione interna, sia a interventi pubblici. Organizzammo un paio di convegni: il primo ad Arcidosso, presso il monte Amiata, in cui cercammo anche di coinvolgere ciò che era ancora vivo del movimento lazzarettista, sorto intorno alla figura di David Lazzaretti, il “Cristo dell’Amiata”; il secondo si svolse presso una casa valdese alle porte di Firenze, confrontandoci sulle tematiche a noi vicine con teologi di area protestante. Poi, così come era nato spontaneamente, dopo alcuni anni altrettanto spontaneamente il piccolo gruppo si sciolse: la distanza geografica, gli interessi non sempre coincidenti, altre ad alcuni problemi di natura personale posero fine a quella esperienza. Ma, mentre una cosa terminava, un’altra ne nasceva, con persone nuove, ed ancora è in corso.

oggi religione per me vuol dire... riconoscere la trama che lega tutto il vivente, il senso di co-appartenenza e d’interconnessione

In questi anni ho compreso come non sia facile proporre un cammino di ricerca inedito, in cui il camminare divenga la meta stessa, senza sostegni esterni di alcun tipo e senza figure carismatiche di riferimento, facendo saltare la linea di separazione tra sacro e profano, tra religioso e laico, anche se molti studiosi di settore e diverse ricerche e indagini attestano da tempo come il religioso si stia secolarizzando, scegliendo vie fuori dalle religioni. Ma siamo ancora agli inizi di quello che J.M.Vigil chiama “paradigma post-religionale”.

Concludo: oggi religione per me vuol dire tornare al significato letterale della parola re-ligare. Non nel senso di saldare un legame tra l’umano e il divino, ma di riconoscere la trama che lega tutto il vivente, il senso di co-appartenenza e d’interconnessione. C’è tutto dentro quando non c’è né dentro né fuori. Per questo da anni non pratico più la meditazione, ma cerco di riversare l’attenzione e la presenza mentale, apprese nelle pratiche meditative, nella vita quotidiana, quando passeggio nei boschi dell’Appennino, dove sono andato a vivere con Silvia, la mia compagna di scelte e di vita, o nei piccoli lavori, quando lavo i piatti o accatasto la legna per l’inverno, oppure quando provo a restaurare un vecchio mobile. Non solo: celebrare questo legame con il vivente significa anche fare politica (o cosmopolitica, come sarebbe più esatto dire), per ritessere questa trama laddove è stata offesa, costruendo relazioni benigne per facilitare processi di rigenerazione su questa Terra sofferente e malata.

E’ vero, siamo ancora agli inizi di una spiritualità oltre le religioni, ma, come diceva Krishnamurti, in fondo il primo passo è l’unico.


(Tratto dal sito www.liberospirito.org)




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